Rassegna stampa

Tra liti e devolution crollano i visitatori

MILANO

Oltre all’accademia, metafora perfetta del costo politico-economico di questo improbabile decentramento è il cosiddetto federalismo fieristico. Un localismo sfrenato che indebolisce un settore vetrina dell’economia italiana. A sei anni ormai dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha trasferito alle Regioni la disciplina in materia, le fiere italiane più che muoversi in filiera per rafforzare la competitività internazionale di un sistema che fattura 1,5 miliardi di euro (10 miliardi con l’indotto), sembrano immersi in una paradossale guerra intestina. Milano contro Rimini, Verona contro Bologna e, al traino, decine di microfiere di campanile stralitigiose. Il comparativo 2001 e 2006 mostra infatti che la devolution fieristica non ha accelerato affatto l’internazionalizzazione del sistema, anzi, ha accentuato il frazionismo, quasi che la crescita del numero di fiere sia più orientata a contendersi il mercato interno che quello internazionale. Nel 2000, in Italia, si organizzavano 143 fiere, cresciute a 166 nel 2005 fino alle 186 previste nel 2008, nonostante il mercato delle fiere internazionali stia registrando un andamento negativo (aree locate -35, espositori -8%, visitatori -5%.

In Germania non a caso si è passati da 155 manifestazioni internazionali a 152. A loro volta le città sedi di fiere internazionali sono cresciute in Italia da 32 a 40, in Germania da 22 a 23. Lo stesso vale per i metri quadri affittati: sempre in Germania, paese fieristico leader al mondo, si è passati dai 7.227.444 del 2000 ai 6.431.342. Non basta. Nel 2000 per ogni fiera internazionale l’Italia riusciva ad attrarre mediamente 128 espositori e 5.205 visitatori stranieri. Nel 2006, con 23 manifestazioni in più, si sono avuti meno espositori e un incremento di appena 200 visitatori stranieri.

Morale: mentre i competitor corrono verso una decisa razionalizzazione, adattandosi al trend di un settore maturo, cercando di meglio organizzare la domanda delle imprese, che chiedono fiere sempre meno consumer e più B2B, il sistema fieristico italiano sembra andare in senso opposto. Bisognerebbe fare meno fiere ma più grandi, più di eccellenza, e soprattutto fare squadra per andare strutturati all’estero, seguendo la spettacolare rotazione dei mercati verso Oriente (nei prossimi cinque anni la crescita del mercato fieristico in Asia è stimato in una forchetta tra il +30-40%). Invece i piani di investimento, dopo la svolta federalista, sono tutti saldamente in mano alle Regioni, cioè alla politica. In questo modo è fortissima la tentazione di moltiplicare le fiere come volano di consenso e potere, piuttosto che seguire strategie di accompagnamento del mercato. Risultato: tendono a svilupparsi fiere per imitazione (è l’accusa che alcuni operatori muovono a Fiera Milano); e per aumentare i ricavi si fanno start up di nuove manifestazioni spesso flop, tagliando gli investimenti nel marketing strategico, mentre accordi come quello Milano-Hannover per organizzare eventi in Cina rischiano di restare fatti isolati. Alla faccia del (vero) federalismo.M.Alf.

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