
TORINO HA VINTO LA SUA SCOMMESSA
Quando, diciotto anni fa, imprenditori e politici locali ebbero l’idea di creare un Salone (oggi Fiera) del Libro a Torino, non era facile scommettere sul suo successo: la capitale dell’editoria italiana era ed è Milano, il capoluogo sabaudo era piuttosto la città dell’automobile. Oggi questo successo, dimostrato di anno in anno dalla crescita dei visitatori, è ribadito dal riconoscimento dell’Unesco: Torino sarà la capitale mondiale del Libro nel 2006.
Dietro questo successo ci sono molto lavoro, molta tenacia, molta passione: le qualità tipicamente sabaude dimostrate da un piccolo editore di altissima qualità, Bollati Boringhieri. Il suo presidente Romilda Bollati, intervistata oggi da “Il Sole-24 Ore NordOvest”, ha reagito anche ai colpi più gravi, nel 1996 la perdita del fratello Giulio, l’anno scorso quella del direttore editoriale Alfredo Salsano e dell’amministratore delegato Armando Mandelli, investendo e guardando ostinatamente avanti.
Dietro il riconoscimento dell’Unesco c’è però anche una qualità tradizionalmente considerata meno torinese: la capacità di aprirsi all’esterno, la volontà di dialogare e collaborare con tutto il Paese. Torino infatti sarà capitale mondiale del Libro per un anno, a partire dall’aprile 2006 (subito dopo la conclusione delle Olimpiadi invernali e di quelle della cultura), insieme a Roma, grazie al progetto “I segni della scrittura”, che ha messo in comune il patrimonio di esperienze e iniziative delle due città. Un vero progetto culturale, che per sua natura non ha confini, non può essere che nazionale. La Fiera di Torino è una grande festa della lettura che non ha evidentemente la pretesa di competere con il primato mondiale della Buchmesse di Francoforte. Alla quale si avvicina bensì – ed è quanto mai significativo – per numero di visitatori, ma che rimane l’appuntamento insostituibile per gli addetti ai lavori, l’unico luogo al mondo in cui non solo si trovano quasi tutti i libri ma si possono incontrare quasi tutti gli editori, gli scrittori, gli agenti, i traduttori del Pianeta.
Con il suo diluvio di manifestazioni e la presenza dominante dei giovani e delle scolaresche la manifestazione torinese è soprattutto una vetrina, una grande esplosione promozionale della lettura: che, in piccola parte almeno, supplisce l’insufficiente promozione nelle aule scolastiche. La Fiera torinese è assai più ludica e gioiosa di quella di Francoforte, dove tutti corrono e la scaletta degli appuntamenti non lascia un attimo di respiro. A Francoforte si va per lavorare, a Torino per guardare, sfogliare, ascoltare e comprare. La diversa natura delle due Fiere si coglie a prima vista dal ritmo della camminata dei visitatori, a Torino assai più lento e rilassato, oltre che dai loro volti di molti anni più giovani.
Tutto questo non rende meno importante lo sforzo compiuto negli ultimi anni dai vertici della Fiera torinese (il segretario della Fondazione per il libro, la musica e la cultura Rolando Picchioni e il direttore editoriale Ernesto Ferrero) per renderla più internazionale; tanto più in vista della fortissima dimensione internazionale che Torino acquisterà fra meno di un anno, quando l’attenzione del mondo intero si appunterà sulle Olimpiadi. Indubbiamente, non è da questa che si misura il suo successo. Se un limite resta connaturato alla grande festa del libro, è che i visitatori continuano a provenire per la maggior parte dalla città e dalla provincia di Torino. É un limite che è anche una forza, perché ne mette in luce il radicamento locale, e che sconta la posizione periferica del Piemonte nella geografia del Paese. Presto però, con l’Alta velocità, anche su questo piano qualcosa potrebbe cambiare.