Rassegna stampa

Sam Keller: «Così ho lanciato Art Basel»

A 45 anni appena compiuti Sam Keller ha già all’attivo, professionalmente, due vite. Da due anni, designato dal fondatore Ernst Beyeler, è il direttore della Fondation Beyeler di Basilea, il museo più visitato dell’intera Svizzera (oltre 385mila presenze nel 2010, il 18 per cento in più del 2009), e il più internazionale, con il suo 52 per cento di visitatori stranieri. Ma prima, dal 1999 al 2008, è stato il direttore di «Art Basel»: come dire uno degli uomini più potenti del sistema dell’arte internazionale, visto che quella è in assoluto la più importante fiera d’arte del mondo. Una creatura anch’essa di Ernst Beyeler, che la fondò nel 1970 insieme ad altri, ma che – lui più di ogni altro – volle imprimerle quel sigillo di internazionalità e di qualità superlativa che ne mantiene tuttora intatto il primato: «aveva capito – commenta Keller – che l’unico modo per avere successo in una piccola città come la nostra era puntare su questi due atout. Tutte le altre fiere erano allora nazionali; “Art Basel” non lo è mai stata. Quanto alla qualità, non va dimenticato che Basilea, pur piccola, ha una tradizione di capitale dell’arte: qui abbiamo il più antico museo civico del mondo, l’Amerbach Kabinett, origine del Kunstmuseum Basel; qui hanno vissuto in passato Holbein e Böcklin e nel ‘900 Tinguély e Dieter Roth. In più siamo famosi per la nostra Public Art, dalla fontana di Tinguély alle sculture urbane di Richard Serra, Luciano Fabro, Max Bill. Io stesso, che certo non sono nato in una famiglia di cultori del l’arte, già a 10-11 anni, come tutti i basilesi, andavo per musei e mostre. E non saprei davvero immaginare un lavoro migliore del mio».
Da quando aveva 33 anni Sam Keller è dunque uno dei più influenti personaggi nel mondo dell’arte; ma pochi fuori da quel circuito lo conoscono, perché non ama la ribalta mediatica e tende a condividere con gli altri i successi di cui potrebbe a buon diritto fregiarsi. A partire da «Art Basel» e dalla sua gemmazione «Art Basel-Miami» (questa sì una creatura di Keller anche se lui ne parla al plurale), avviata nel 2002 e subito diventata l’appuntamento più glam per i collezionisti del l’intero continente americano. Ma già quando arrivò a dirigere la fiera-madre, Keller le impresse una svolta: «tornando in realtà alle origini – minimizza –. Dagli anni 80 anche “Art Basel”, come altre fiere, era troppo cresciuta: meno selettiva, troppo commerciale. Così, se il comitato aveva già deciso di puntare di nuovo sulla qualità, io da parte mia ripresi subito l’abitudine di invitare gli artisti, perché potessero essere ad “Art Basel” anche senza essere presenti negli stand: da noi gli spazi costano molto ed è normale che i galleristi espongano opere “sicure”. Pensai così di creare “Art Unlimited”, una piattaforma in cui gli artisti potessero mostrare opere gigantesche, difficili per il mercato. Pareva un azzardo, invece è stato un successo, anche perché in tal modo permettiamo ogni anno ai collezionisti di conoscere aspetti meno noti del loro lavoro. Da subito, poi, decisi di irrobustire il versante culturale: ricordo che Harald Szeemann usava fermarsi qui alcuni giorni durante “Art Basel”, e così facevano tanti artisti. I collezionisti mi chiedevano di conoscerli: fummo la prima fiera a organizzare incontri pubblici con loro e la cosa piacque molto. Perché ciò che fa la differenza per i collezionisti è la qualità della loro giornata, anche fuori dalle ore della fiera: conversazioni con i protagonisti, visite riservate a collezioni private e musei e così via. Oggi è normale; allora assai meno. Senza contare i nostri “problem solvers”, presenti per ogni loro necessità. Ma, soprattutto, abbiamo creato una rete di “ambasciatori” di “Art Basel” (per lo più giovani collezionisti) che si occupano di tenere vivi i rapporti con i grandi collezionisti del mondo». Perché loro, insieme ai grandi galleristi, sono la “linfa” di «Art Basel».
La ricetta del successo? «Semplice: attirare buone opere di buoni artisti. E il merito, va detto, non è del direttore, che non ha diritto di voto sulla scelta delle gallerie (lui deve essere neutrale, perché chi non c’è quest’anno potrebbe esserci l’anno prossimo), ma del comitato, composto da galleristi che attraversano il mondo per visitare le altre gallerie e che esaminano migliaia di dossier, assumendosi una pesante responsabilità. Perché la presenza o meno a Basilea pesa molto nel palmarès di una galleria: ricordo un gallerista brasiliano a cui il corriere non aveva garantito che il suo plico giungesse in tempo. Arrivò di persona, con chili di cataloghi, e mi disse di aver disertato la sua festa di compleanno per consegnarceli».
Anche «Art Basel-Miami», spiega «è il frutto di lunghi confronti: la sede non poteva essere New York, perché galleristi nostri clienti vi organizzano delle fiere, e nemmeno Los Angeles, città troppo vasta e dispersiva. Miami aveva invece un grande potenziale: nessuna fiera, e il grande bacino dell’America latina. Abbiamo avuto fortuna perché era un buon posto e un buon momento: l’arte contemporanea era diventata nel frattempo molto popolare fra i collezionisti dei nuovi mercati. Ma – ammette – abbiamo anche lavorato duro». Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la fiera d’arte più importante e ambita d’America, passerella di collezionisti di punta e di celebrities. Guai però a chiedergli qualche cifra: «Il volume d’affari? non glielo so dire. Non è nostro compito registrare gli scambi: è un fatto privato fra galleristi e collezionisti. Però il 100 per cento degli espositori preme per tornare e le liste d’attesa si allungano ogni anno (su mille domande se ne accettano 300): credo che sia questo il migliore indicatore». Un successo, quello di «Art Basel», che non è venuto meno neppure con la crisi: stesso numero di visitatori, stessa pressione dei galleristi per entrare: «Quando si è il numero uno – spiega – ci si avvantaggia sia con il mercato vivace che con la recessione, perché chi esponeva in più fiere punta solo sulla più prestigiosa e lo stesso fanno i collezionisti». E i suoi successori Annette Schönholzer e Marc Spiegler, aggiunge, «fanno un buon lavoro».
E oggi, dopo i milioni di chilometri macinati in quegli anni, dall’Asia al Sud America; oggi che il lavoro frenetico di un anno non si “brucia” più nei pochi giorni della fiera, non gli mancherà tutta quell’adrenalina? «Per nulla. Ora che guido la Fondation Beyeler l’adrenalina me la procura la visita di un artista o l’ottenere il prestito di un’opera inseguita per anni. E comunque viaggio ancora moltissimo. Inoltre, oltre alle nostre mostre, ne progettiamo altre da “esportare”, come voleva Ernst Beyeler, perché primo compito di un museo è creare cultura. Insomma il mio è un lavoro tutt’altro che statico: in un museo si ha la straordinaria opportunità di lavorare sul presente, progettare per il futuro e guardare al passato».
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La più attesa kermesse dell’arte contemporanea

Dal 15 al 19 giugno 2011 nel padiglione fieristico di Basilea si terrà al 42esima edizione di «Art Basel», la più importante mostra d’arte contemporanea del mondo. Le 300 gallerie espositrici – provenienti da 35 paesi – mostreranno le opere di 2.500 artisti del XX e del XXI secolo. Previsti settori di esposizioni curatoriali (Art Feature), istallazioni formato gigante (Art Unlimited), film e conversazioni. Per il programma e la visita: www.artbasel.com

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