Rassegna stampa

Rivalità addio, il Nord-Est fa squadra

di Marco Alfieri

Frazionismo addio? A rompere il tabù è stato il Gazzettino del 19 dicembre («Il Nord-Est impara il gioco di squadra»): «Tre avvenimenti in tre giorni, ma un unico denominatore», scrive Giorgio Gasco. «Il Nord-Est ha ammainato le bandiere ideologiche, issando un unico simbolo: fare squadra. La difesa trasversale del commissario del Passante di Mestre; l’accordo transfrontaliero Galan-Dellai; il via libera al governatore veneto per trattare con Roma più autonomia e poteri. Tutto con un assenso politico totale, finora mai annotato. In tre giorni sono caduti vecchi steccati…». Il Gazzettino certamente esagera. Basti dire delle ultimissime baruffe sugli aeroporti di territorio tra Venezia Save e il triestino Ronchi dei Legionari, o lo stallo sul merger energetico Ascopiave-Acegas Aps. Tuttavia ha il merito di cogliere efficacemente una discontinuità latente, nel turbolento Nord-Est dei campanili e dell’ordinanza anti-immigrati di Cittadella.

L’ultima chiamata potremmo collocarla a fine settembre. Siamo al Cuoa di Vicenza, al secondo meeting delle classi dirigenti del Nord-Est. In una tavola rotonda, incalzato dal direttore della Nuova Venezia, Paolo Possamai, il presidente di Ferrovie dello Stato Innocenzo Cipolletta è categorico sulle infrastrutture e l’alta velocità ferroviaria: «Corridoio 5, i soldi non ce li abbiamo neanche per la progettazione di alcune tratte. La Regione trovi le risorse». Ma quel che è peggio, dice Cipolletta, «in questi anni dal territorio non è mai arrivata alcuna proposta unitaria». Ognuno ha proceduto sfuso, come le sigarette. Gelo in sala. Sui giornali locali se ne discute per qualche giorno, senza veli. È la prima volta.

Intanto il governatore Giancarlo Galan, sull’onda del matrimonio energetico Aem Milano-Asm Brescia, schiera la finanziaria regionale Veneto Sviluppo presieduta da Irene Gemmo: sarà questo, spiega il governatore, il grande ombrello sotto il quale procedere alle aggregazioni nel campo delle multiutility. «Bisogna accelerare: le nostre società sono troppo piccole, sottocapitalizzate e litigiose». Perfette per diventare preda in un mercato sempre più concorrenziale.

Oltre il campanilismo

Questi episodi restituiscono un Nord-Est multiforme, che comincia dopo anni di campanilismo ossessivo a percepire l’esigenza di fare rete. Pur tra mille difficoltà, diffidenze e distinguo, tra lotte di potere (valga per tutti la battaglia cruenta sul controllo dell’autostrada Serenissima tra Galan e la vicentina Manuela Dal Lago), sindaci sceriffi, Comuni che vogliono cambiare Regione per pagare meno tasse e industriali divisi, su alcuni dossier comincia a farsi spazio un’impellenza nuova, sistemica.

Le multiutility

Il caso più evidente è quello delle multiutility, dove a valle della fusione Aem-Asm e di quella nordovestina tra Genova e Torino (Iride), anche a Nord-Est comincia a profilarsi faticosamente una possibile svolta sull’asse Verona, Trieste, Padova, Treviso che darebbe l’innesco per un polo energetico del Triveneto. Prima di Natale la trevigiana Ascopiave ha acquisito dalla triestino-patavina Acegas Aps il 49% di Estenergy. Le due multiutility condivideranno la vendita di gas ed energia elettrica. Primo passo, tra i mille tatticismi, le ritrosie e gli stop and go di questi giorni, nel processo di aggregazione della grande multiutility del Nord-Est, che nel giro di un paio d’anni potrebbe federare una sessantina di micro operatori tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Anche perché, nel frattempo, sull’asse Verona-Treviso, Agsm-Ascopiave, s’avanza la gamba leghista dell’energia, con i due sindaci del Carroccio, Flavio Tosi e Gian Paolo Gobbo, impegnati a dialogare per mettere insieme le rispettive multiutility.

Un Politecnico modello Berkeley

Il secondo dossier aperto è la partita sul Politecnico del Nord-Est, proposto dal rettore dell’università di Padova, Vincenzo Milanesi. L’idea è quella di costruire una rete dei saperi multidisciplinari fortemente orientata alla ricerca applicata tra gli atenei, in grado di fare massa critica e fornire risorse umane alla ripartenza dei distretti. C’è troppo campanilismo, è il ragionamento: otto atenei e decine di sedi didattiche distaccate hanno disperso energie e finanze. Risultato? Il numero di laureati in materie tecniche e scientifiche è largamente insufficiente e le imprese vanno all’estero in cerca di collaborazioni. Perché allora non fondere Venezia, Padova e Verona e poi, via via, gli altri atenei trentini e friulani un po’ sul modello Berkeley? Tempistiche ancora non ce ne sono, ma oltre ai colleghi veneti i rettori di Trento e Udine sono molto interessati. Così come la Confindustria regionale e il governatore Galan.

Già nel Rapporto Nordest 2006 si potevano rintracciare le basi sociologiche di questa mutazione. L’indagine smontava la vulgata, il cliché del veneto che abbandona a 15 anni la scuola per buttarsi a fare schei in azienda. Non è più così. I giovani sono sempre più selettivi verso il lavoro. I loro tassi di scolarizzazione, anche accademica, ormai non conoscono scostamenti rilevanti rispetto alle altre aree del Paese: la frequenza al ciclo medio superiore (14-18 anni) si attesta ormai attorno all’84,5% (media nazionale 87,5%). Si tratta di valori superiori di quasi il 10% rispetto al 1997-1998. Dunque una «società laburista», che continua ad avere nell’idea del lavoro uno snodo valoriale decisivo, ma vissuta in modo più laico, meno ossessivo.

Il capitolo della portualità

È poi il caso dei porti, delle prove tecniche di alleanza tra i rivali storici Venezia e Trieste, per dare vita a un polo dello shipping adriatico di taglia realmente europea. A fine ottobre, infatti, Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna hanno varato un programma quadro che porterà alla creazione del Distretto portuale Nord Adriatico (Dpna) comprendente i porti di Trieste, Monfalcone, Porto Nogaro, Venezia, Chioggia, Porto Viro e Ravenna, ma anche Capodistria e Fiume. «Soltanto mettendo assieme le forze potremo offrire un’alternativa credibile al congestionamento dei porti del Nord Europa», spiega Claudio Boniccioli, presidente dell’Autorità portuale di Trieste, seppellendo frazionismi e rancori ancora troppo recenti.

Alla fiera dell’Est

In fermento anche il mondo delle fiere venete. Capofila l’ente veronese che controlla al 35% Venezia fiere e ha stretto un accordo con Vicenza per scambiarsi alcune manifestazioni. Verona vuole potenziare il polo di Venezia, sfruttandone il brand e la vetrina internazionale. La cosa piace a Massimo Cacciari e anche a Galan, che punta a coinvolgere Veneto Sviluppo. Il primo step è trovare una sede stabile all’altezza per lanciare Venezia nell’orbita del turismo congressuale d’élite abbinandoci una fiera di nicchia. La location potrebbe essere Marghera, simbolo del post-fordismo targato triveneto.

Il sistema bancario

Anche nel gelosissimo mondo del credito in fondo si è mosso qualcosa. Per la prima volta, dopo il biennio delle grandi aggregazioni bancarie nazionali e la presa di Mps su Antonveneta, non è più tabù ragionare di fusioni tra le grandi popolari, cominciando proprio dall’asse Vicenza-Treviso, Veneto banca/Popolare Vicenza, le grandi nemiche, per poi, in un secondo tempo, arrivare magari al Banco Popolare. «L’ho detto a Gianni Zonin – ha spiegato qualche settimana fa Galan – un’aggregazione sarebbe bellissima. Pensate che cosa sarebbe oggi il sistema bancario regionale se nel passato Vicenza, Verona, Veneto Banca e l’allora Antoniana Veneta si fossero unite». Per il momento il dialogo è accantonato. Ma solo sei mesi fa anche solo parlarne sarebbe stata un’eresia.

Dunque Multiutility. Università. Porti. Fiere. E su scala minore il Parco musicale del Nord-Est, cioè l’intesa tra i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche di Venezia, Verona e Trieste, e il gioco di squadra a Bruxelles, dove gli uffici della regione stanno traslocando in una nuova sede in cui si baseranno anche il sistema camerale e universitario regionale per meglio presidiare le opportunità e i progetti Ue.

La classe dirigente si muove

Tutti primi passi che stanno dentro un embrione di logica nuova. Le classi dirigenti locali, faticosamente, cominciano a percepire l’impellenza di ragionare su scala metropolitana. Troppo attaccate Verona-Vicenza-Padova-Treviso-Venezia e poi Trieste per farsi la guerra e non cooperare. D’altronde lo spazio metropolitano è il basso continuo di seminari, incontri e convegni che cominciano a moltiplicarsi sul territorio. «La necessità di un superamento delle identità locali nasce prima di tutto dal cambiamento dello scenario competitivo in cui operano le nostre imprese», spiega Stefano Micelli, economista dell’Università di Venezia. «Il Nord-Est ha costruito il suo successo manifatturiero sulla forza di territori e comunità locali, che hanno saputo trasformare le tradizionali competenze artigianali in eccellenza manifatturiera. Oggi questa competenza industriale segna il passo. I processi di delocalizzazione verso l’Europa dell’Est prima e verso Cina e Sud-Est asiatico poi hanno portato in primo piano l’importanza di saperi e funzioni "terziarie" come la ricerca e sviluppo, il governo delle reti telematiche, la logistica e il design». Saperi e funzioni che sollecitano una dimensione di governance metropolitana.

Qualcuno abbozza già anche la divisione di funzioni pregiate della nuova metropoli Nord-Est: a Verona la fiera; a Padova l’università; a Venezia l’aeroporto e a Trieste il porto, con l’alta velocità a collegare le singole città. Per ora è ancora fantapolitica in una terra stralitigiosa. Di certo, però, «quel policentrismo che è stata la forza del Veneto, nel primo boom del mitico Nord-Est», spiega Gigi Copiello, leader storico della Cisl vicentina, «oggi con i distretti in ripartenza e l’emersione della media impresa, che tende a livellare Nord-Est e Nord-Ovest, rischia di rivelarsi un limite anzitutto per le stesse imprese».

Così se l’economia ha saputo in questi anni ristrutturarsi, alla faccia del declinismo e dei tanti de profundis, reinventarsi un’altra volta significa saper fare finalmente massa critica. «L’economia da sola non basta più se non ci sono capitale umano adeguato ed energia a basso costo, infrastrutture all’altezza e credito accessibile», chiosa Copiello. Una mutazione che, tra mille vischiosità, potrebbe disegnare anche una discontinuità culturale nei confronti della politica. Ad ammetterlo sono gli stessi industriali, da Calearo a Tomat, da Rana a Riello. Se negli anni 90 il Nord-Est ha potuto «auto-rappresentarsi», oggi cresce la percezione che occorra investire sulla politica e su una nuova classe dirigente diffusa, trasversale. Non sarà una rivoluzione, ma è certamente un segnale importante.

marco.alfieri@ilsole24ore.com

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