
Ricca e carica di storia ma con la paura di volare
DI MARIANO MAUGERI
L’abbraccio liquido dell’Adige, una possente cinta muraria di nove chilometri costruita nel 267 avanti Cristo in soli sette mesi, la brezza del Garda che nelle giornate ventose s’insinua tra piazza delle Erbe e piazza Bra con il suo profumo di ulivi. E poi l’anfiteatro Romano, l’Arena, Castel San Pietro, i ponti in successione che attraversano un fiume maestoso con curve ampie e morbide come i grandi corsi d’acqua mitteleuropei. Verona non è una città e neppure una provincia. Verona è una regione in miniatura che per i soliti tranelli della storia non è stata quello che i veronesi sentono di essere: un regno o un granducato, quasi una nazione.
E non è casuale se questa città sta in Veneto ma, «struca struca» – come dicono qui – potrebbe essere pure lombarda o trentina, senza che le appartenenze forzose riescano a scalfire quel senso di refrattarietà alla storia che è il midollo della veronesità. Ne sa qualcosa la Serenissima repubblica di Venezia cui i veronesi si consegnarono spontaneamente in cambio del mantenimento degli statuti locali e la garanzia che le tasse non sarebbero aumentate. Sudditi apparentemente accomodanti che coltivavano la loro invincibile diversità specchiandosi nelle acque del loro lago e del loro fiume, incomparabilmente piccoli in proporzione all’Adriatico dei dominatori, ma così densi da sedurre Gaio Valerio Catullo e Byron, Virgilio e Shakespeare.
Ecco un altro cromosoma dei veronesi, che forse inconsciamente si sentono i custodi dell’immortalità delle loro strade, piazze, palazzi, persino delle pietre. Come se la frase shakespeariana scolpita sulla porta di piazza Bra («Non c’è vita per me al di là di queste mura») si fosse tramutata in una profezia.
Il resto lo ha fatto la geografia, benigna fino alla spudoratezza (poco più di un’ora da Milano, Venezia, Bolzano e Modena, crocevia di una delle aree più ricche d’Europa) e l’intelligenza dei democristiani che negli anni 60 disegnarono la Grande Verona: la Fiera, l’Università, i Magazzini generali e l’Ospedale di Borgo Roma nascono per volontà di Giorgio Zanotto (due volte sindaco, poi presidente della Provincia e infine presidente della Banca Popolare), Renato Gozzi (presidente della Provincia), Carlo Delaini (Camera di commercio).
Una stagione felice, vitale, ricca di idee, in cui uomini semplici si assunsero la responsabilità di tracciare le linee guida di uno sviluppo che ha fatto ricca Verona e i veronesi. Questi uomini non erano soli. Dietro di loro c’era una generazione di imprenditori che trasformò le piccole attività commerciali e artigianali in una moltitudine di piccole e medie aziende che hanno conquistato la leadership nell’agroalimentare e posizioni di tutto rispetto nella meccanica.
Chiosa Gian Andrea Chiavegatti, avvocato ed esperto di diritto internazionale: «Questa è una città che ha tutto: un’industria forte, un’agricoltura robusta, un terziario che ruota attorno alla finanza e va ben oltre i confini regionali, un settore turistico che non conosce crisi». Ha ragione Chiavegatti: Verona ha tutto, troppo. E non è difficile intuire che i primi nemici dei veronesi siano i veronesi stessi. Perché ricchezza e benessere possono annebbiare i traguardi, uccidere la voglia di rischiare. Un piccolo compendio dell’italianità, con la differenza che questa città è un caso da manuale per il concentrato di ricchezza storica, risorse finanziarie e intelligenze.
Sandro Boscaini, gran signore del vino con laurea alla Cattolica di Milano, l’uomo che con la Masi ha portato l’Amarone in tutto il mondo, la mette giù con la semplicità rurale tipica di molti veronesi: «Il mondo sta cambiando in fretta, e ho la sensazione che qui si rimanga fermi: troppi veti incrociati, troppi privilegi, troppe rivalità». Ci sono tanti modi di dire la stessa cosa. Lord Byron criticò la memoria debole dei veronesi: «O beatissima Verona, tu dimentichi ancora il tuo poeta Catullo, i cui antichi amori dan luogo ai nuovi, il tuo anfiteatro in cui sedettero i romani, il profugo Dante ricoverato da te».
Verona ha il vizio di occultare. Ha dimenticato il suo fiume maestoso, ha dimenticato le sue mura antichissime che potrebbero essere quasi più belle e vivibili di quelle di Ferrara e Lucca e invece sono ormai il luogo d’incontro dei devianti. «Ha dimenticato persino le piste ciclabili, di cui si dibatteva nei lontani anni 70 ma che ancora non si vedono», aggiunge Nicolò Rizzuto, trapanese giramondo, primario di Neurologia all’ospedale di Borgo Roma e «innamorato pazzo di Verona», la città in cui vive e lavora da 35 anni. Rizzuto è testimone diretto di uno di quei veti incrociati che alla fine ha fatto perdere tutti: «Ci riunimmo cinque anni fa per immaginare gli ospedali del futuro, che sono uno degli orgogli di questa città. Molti di noi sostennero la nascita di una cittadella della salute, un polo dove confluissero tutte le strutture ospedaliere e le facoltà legate a Medicina. Non ci fu niente da fare. La nostra proposta fu bollata come funzionale agli universitari. Alla fine prevalse chi aveva deciso di ricostruire il vecchio nosocomio di Borgo Trento, quello più vicino al centro storico».
I veronesi stanno bene così come stanno, dicono in tanti. Ma in realtà non è affatto così. Dalla stagione di Zanotto senior sono passati più di trent’anni. Ora al Comune siede il di lui figlio, Paolo. E i poteri forti della città sono spartiti da un quadrumvirato formato dalle tre istituzioni finanziarie che per i cittadini contano più dell’Arena, degli ospedali, delle Mura e dell’Adige: la Società Cattolica di assicurazione, la Fondazione Cassa di risparmio e la Banca Popolare. I sacerdoti degli schei recitano bilanci come rosari sotto lo sguardo vigile del vescovo che detiene un potere di moral suasion secondo soltanto a quello della Curia di Bergamo, altra roccaforte della Serenissima.
Di grandi decisioni strategiche non ce ne sono. Tranne la volontà comune di tirare su nell’area dove sorgeva il vecchio mercato ortofrutticolo, proprio di fronte alla Fiera, il Polo finanziario cittadino. Sembrerebbe un’operazione di piccolo cabotaggio, la casa delle banche e delle assicurazioni. In realtà, le istituzioni finanziarie vogliono contendere a Milano la piazza di regina della finanza. Il treno ad Alta velocità che entro il 2010 collegherà Milano a Verona in 40 minuti dovrebbe dargli una grossa mano, così come il declino dell’Antonveneta padovana fa dire a Carlo Fratta Pasini, il successore di Zanotto alla Popolare, «siamo noi gli eredi dei padovani». A battagliare è pure la Fiera: i milanesi rubano Transpotec ai veronesi e con Miwine tentano di intaccare il primato indiscusso del Vinitaly.
Piccole beghe che forse hanno distratto i veronesi da quell’immenso patrimonio culturale a cielo aperto che sorge sotto i loro occhi. L’Arena, certo, è un simbolo nel mondo, snobbato proprio da chi ce l’ha in casa: «Degli spettatori dell’opera i veronesi e i veneti rappresentano solo il 10%», dice Claudio Orazi, ex sovrintendente a Macerata e poi manager teatrale giramondo. Il balcone che si apre dall’ufficio di Orazi su piazza Bra dovrebbe essere uno dei manifesti culturali di questa città: la porta merlata, le pietre bianche dell’Arena, le colline delle Torricelle cariche di storie che chiudono una tra le quinte scenografiche più seducenti del mondo. «È uno stupore primigenio», esclama il sovrintendente, un po’ come quello da cui viene colto chi partecipa agli spettacoli dell’Arena, che con i suoi 15mila posti è il più grande teatro antico all’aperto. Tra i mandati di Orazi c’è quello di «demuseificare» il teatro dell’opera. Così si è inventato i concerti di musica classica itineranti e nelle chiese della Bassa veronese ha portato l’orchestra che intona il Requiem di Mozart. Lui dice in modo pacato come stanno le cose: «I veronesi sono orgogliosi dell’Arena, ma in modo un po’ retorico: una, forse due generazioni di padri non hanno mai portato i figli a teatro».
Per ricucire lo strappo, Orazi ha lanciato una proposta: «Perché non ci candidiamo a capitale europea della cultura per l’edizione del 2013?». Le risposte meno convinte sono arrivate nientemeno che da Paolo Biasi, il banchiere-imprenditore della Fondazione Cariverona, che siede sopra un patrimonio liquido di 5 miliardi di euro: «Il 2013 è troppo lontano, mi sembra una proposta buttata lì», ha detto. Il sovrintendente allarga le braccia. Il giudice Maria Cristina Motta, toscana e appassionata di arte contemporanea, traduce quel gesto con una battuta: «I veronesi sono neofobi, cioè nemici del nuovo».
Sarà per questo che, oltre all’Arena, non ci sono teatri pubblici? Sarà per questo che si dibatte inutilmente da 15 anni a cosa destinare il grande complesso di Castel San Pietro appollaiato sull’Adige? Alberghi o musei? Mentre i veronesi discutevano, Mantova è diventata la capitale padana dei grandi eventi culturali; Rovereto, con il Mart, si è avvicinata a Basilea e Monaco; Brescia ha messo la sua potenza industriale al servizio della cultura. Per avere un’esortazione schietta bisogna calpestare l’acciottolato che separa ponte Garibaldi dalla Cattedrale. Lì accanto c’è la redazione di un settimanale cattolico, Verona Fedele, controcorrente e poco malleabile. Il suo direttore, don Bruno Fasani, è sceso dalle montagne del Garda per infondere una sana dose di vis polemica a quella che considera la sua città. La sua ricetta è schietta come lui: «Cari veronesi, torniamo a pensare in grande».
98.984
– Nel 1° semestre le imprese registrate alla Cdc sono aumentate dell’1,7% (+1,4% in Italia)
20,7%
– Il peso dell’agricoltura nell’economia qui è superiore rispetto al dato nazionale (16%)
0,3%
– Percentuale sul Pil degli Investimenti diretti esteri nella provincia contro lo 0,7% nazionale
26°
– È il posto occupato dalla provincia nella classifica nazionale sulla dotazione d’infrastrutture
16.338
– È il reddito pro-capite annuo dei veronesi (Istat), contro una media nazionale di 21493 € (Eurostat)
8,3mld
– Totale dei consumi nella Provincia di Verona per il 2004, pari a una spesa pro capite di 19645 euro
9,7mld
– I depositi bancari degli abitanti dell’area di Verona nel 2004 (sono 644 mld in tutta Italia)
850
– È il canone medio in euro richiesto per un bilocale (60-70 metri quadri) nel centro storico della città
9mln
– Sono i turisti che hanno soggiornato a Verona e dintorni da gennaio ad agosto 2005 (+6,11%)
530mila
– Tanti i biglietti che vengono venduti ogni anno per accedere agli spettacoli dell’Arena di Verona