Rassegna stampa

Quanti mestieri per fare una fiera

“Il settore delle fiere è in profonda trasformazione. A livello europeo sembra essersi appiattito, registra dinamiche di destrutturazione della filiera produttiva e sta abbandonando l’ambito no profit, cercando nuovi mercati internazionali”. Così Francesca Golfetto, direttore dell’Osservatorio fieristico dell’Università Bocconi, sintetizza l’evoluzione delle manifestazioni fieristiche. Il settore coinvolge ogni anno in Italia 200mila imprese, 20 milioni di visitatori e produce un giro d’affari (compreso l’indotto) di 60 miliardi di euro.
Il cambiamento è originato da alcune tendenze di medio periodo e da motivi strutturali che hanno un impatto rilevante anche sul sistema delle competenze e delle professioni. In Italia pesano tre fattori: la privatizzazione del settore (sancita con la legge 7/2001 e oggi attuata dal 77% degli enti fieristici); la nascita del nuovo polo di Rho-Pero, che aumenterà del 30% la superficie espositiva di Fiera Milano Spa, portando la Lombardia al primo posto in Europa; la contrazione del mercato.
Secondo Franco Battaglia, direttore generale di ASAL-Assoallestitori, gli otto milioni di mq allestiti ogni anno in Italia non aumenteranno se non in relazione alle fiere internazionali, vera scommessa su cui puntare. “All’apertura verso la concorrenza europea – precisa Golfetto – corrisponde una disintegrazione interna e una frammentazione della filiera fieristica tradizionale, fino a ieri fortemente integrata sotto il controllo dei quartieri espositivi”. Due le conseguenze: la maggiore specializzazione degli operatori a ogni stadio produttivo e la trasformazione dell’orientamento da no-profit a profit. Il modello che si sta affermando vede così la nascita di quattro poli distinti, che cooperano sul mercato. Il primo è quello della facility property, gestita da fondazioni ed enti pubblici locali che realizzano in prevalenza azioni di marketing territoriale per valorizzare il territorio e le attività produttive locali. C’è poi l’area del facility management, ovvero la gestione delle aree espositive (oggi più di 100 a livello locale in Italia), in mano alle associazioni imprenditoriali e di recente ai privati. Le attività che sviluppano: la valorizzazione dei fornitori, la rotazione degli spazi, l’innovazione dell’offerta. Quest’ultimo compito è il più importante per generare nuove opportunità.
“La fiera – commenta Piergiacomo Ferrari, presidente di Aefi – non è più una pura esposizione, ma momento di aggregazione, informazione, comunicazione, occasione per convegni. Deve in primo luogo raccogliere visitatori, assecondando le loro esigenze”. Gioca dunque un ruolo importante la terza area di produzione, quella dell’organizzazione degli eventi. . Per Ferrari è indispensabile guardare ai mercati emergenti: Russia, Cina, India, Brasile e le aree del Mediterraneo sono un appuntamento da non mancare. In ultimo c’è l’area del service providing. É il comparto più interessato ai cambiamenti proprio perché esposto alla privatizzazione: catering, prenotazioni di alberghi, allestimenti, comunicazione e marketing, attività di supporto alla realizzazione di eventi. “É qui – afferma Golfetto – che si giocherà la vera battaglia e vincerà chi avrà migliori risorse e orientamento i clienti”.

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