Rassegna stampa

Più del prodotto conta l’emozione

di Francesca Golfetto*

– Nelle aziende più orientate al mercato si è andato di recente affermando il cosiddetto "marketing esperienziale" come innovativo strumento di differenziazione delle offerte. Si tratta di un approccio che fa leva sui bisogni evoluti dei consumatori, i quali sempre meno manifestano interesse verso il possesso di beni e sempre più aspirano a realizzare esperienze di rinforzo del l’identità e di collocazione del sé nel sociale (ad esempio bisogni di appartenenza, bisogni di condivisione, valore del giudizio sociale eccetera). Tale prospettiva supporta l’idea che ai consumatori vanno offerte esperienze stimolando soprattutto emozioni, sensi, opportunità di azione, esperienze cognitive.

Di conseguenza, si dovrebbero ricercare momenti di contatto con i consumatori che consentano alle imprese di trasformare i loro prodotti e servizi in esperienze memorabili: insomma i prodotti devono rappresentare non un più un fine ma un mezzo. I più accreditati manuali di marketing esperienziale prevedono addirittura un’evoluzione verso un’economia delle esperienze, che stimano supererà rapidamente quella dei servizi, così come quest’ultima ha superato l’economia industriale e agricola. Seguendo queste prescrizioni molte attività si sono trasformate in «produttori di esperienze» e così si vedono punti di vendita che ricreano le atmosfere della pubblicità, ristoranti che rafforzano e spettacolarizzano le sollecitazioni del gusto e dell’olfatto, concerti e spettacoli che prevedono la partecipazione attiva o spettacolare anche del pubblico.

Anche le attività di comunicazione si stanno orientando in questa direzione, con le pubblicità che sollecitano emozioni e valori simbolico-relazionali dei prodotti, ma soprattutto con un fortissimo sviluppo di eventi di marketing, sia di tipo individuale, sia di tipo collettivo (fiere). Nei casi in cui si sono trovate allineate con queste tendenze, le fiere consumer hanno così conosciuto una nuova rivitalizzazione, tanto più che anche dal lato dei produttori (espositori) sono cresciute le necessità di contatto con i consumatori, legate agli obiettivi di by-passare la grande distribuzione, di conoscere le comunità riferite ai loro prodotti, di incidere sugli opinion leader. Eventi come il Motor show, il Festival del fitness, il Salone del gusto fondano infatti il loro successo proprio su tali meccanismi. E l’interesse dei visitatori non è più legato all’obiettivo di informarsi sui prodotti e le alternative d’acquisto (ormai facilmente disponibili a tutti sul web), quanto a realizzare obiettivi di socializzazione, sperimentazione, svago.

La soddisfazione della visita è legata al fatto di aver incontrato gli atleti, di aver guidato una macchina speciale, di aver parlato a una radio, di essere stati a tavola con altri buongustai, di essersi misurati in una gara, di aver condiviso qualcosa con amici o con altri appassionati, di essersi insomma arricchiti di un’esperienza speciale. E le fiere business, destinate agli operatori possono trarre vantaggio dal marketing esperienziale? In effetti, poiché le fiere sono "esperienzianti" per definizione, questi meccanismi funzionano anche per le fiere business, fatte le debite differenze.

In tal caso, gli obiettivi dei visitatori, ai fini della collocazione del sé nel sociale, sono riferibili soprattutto ai contesti professionali degli addetti ai lavori. Di conseguenza le proposte esperienziali che funzionano sono più legate alle necessità di toccare i prodotti, di valutare le competenze dei produttori, di intuire tendenze del mercato e innovazioni emergenti, di fare networking, di acquisire conoscenze specifiche. È per questo motivo che negli eventi business funzionano di più i tecnici della R&D, le aree tendenza, le innovazioni del futuro, che i clown e le signorine in minigonna. Sono inoltre importanti le proposte di socializzazione e di condivisione tra addetti ai lavori (ad esempio le aziende che invitano i clienti alle open house – in fabbrica o in sede – o alle cene con altri clienti e con i propri tecnici) che soddisfano i bisogni di appartenenza e di riconoscimento nelle comunità industriali e professionali e che migliorano la relazione. Molta parte della motivazione profonda alla visita delle fiere business è infatti legata a questi obiettivi, più che alle informazioni sui prodotti, ed è proprio attraverso questa strada che le imprese (e gli organizzatori fieristici) dovrebbero cercare di parlare ai target di potenziali acquirenti o "influenzatori" d’acquisto che visitano le fiere.

* condirettore Cermes-Bocconi

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