Rassegna stampa

Perché il Contemporaneo non trova sponsor in patria

Sponsor sì, ma se l’evento è internazionale. Nell’eventualità poi di dover concentrare gli investimenti su pochi appuntamenti, la scelta pare quasi obbligata. Il risultato è che le sponsorizzazioni nell’arte attraggono sempre più gli eventi che si svolgono all’estero e l’Italia rimane il fanalino di coda. Sembra questo l’atteggiamento delle aziende italiane, che in questi anni hanno preferito associare il loro brand ai più importanti appuntamenti con l’arte internazionali.
«In Italia – sostiene Giulia Molteni, Retail manager dell’omonimo gruppo che investe nelle sponsorizzazioni culturali circa 150mila euro all’anno – c’è ancora molto da fare, e quindi è meglio andare all’estero. Ad esempio, le nostre mostre avrebbero bisogno di più sponsor vista l’attuale situazione economica, e soprattutto i risultati che si ottengono sono molto inferiori. All’estero non ho mai visto gente così brava a valorizzare quel poco che hanno: noi abbiamo molto, ma facciamo veramente poco». «Inoltre sarebbe opportuno – prosegue Molteni – che gli investimenti in cultura fossero deducibili dalle tasse; se non si concretizza questa forma d’incentivo non andremo da nessuna parte». Il gruppo Molteni è presente in prevalenza alle fiere d’arte internazionali. Lo scorso marzo all’Armory, con un impegno economico per l’allestimento di 30mila euro, e ora stanno valutando la partecipazione alla prossima edizione di Frieze, mentre in Italia non hanno mai partecipato a Artissima. Per quale motivo? La risposta è immediata. «All’estero apprezzano maggiormente il design italiano, e il target di pubblico è lo stesso che è interessato all’arte contemporanea».
Dove vanno ricercate le ragioni di tale atteggiamento? «Le fiere internazionali – sostiene Severino Salvemini, professore ordinario di Organizzazione aziendale e Direttore del corso in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione all’Università Bocconi di Milano – incontrano un pubblico più trasversale. Inoltre, se essere presenti ad ArtBasel con una sponsorizzazione tecnica o a quella di Bologna comporta un uguale impegno economico, è ovvio che la preferenza vada alla fiera più internazionale. La vera differenza nell’investimento – prosegue Salvemini – indirizzato al mondo dell’arte (sia come partecipazione alle fiere, sia sotto altri aspetti) è il ruolo di chi gestisce tali risorse. L’Alta Direzione ha capacità di persuasione maggiore della Funzione Comunicazione, ma anche un collegamento più diretto con i processi produttivi dell’azienda e dell’istituzione e quindi è facilitato il trasferimento del significato simbolico dell’arte nel funzionamento aziendale a tutto campo».
Tutto ciò trova una conferma, ad esempio, nelle strategie del gruppo Illy: «Avvicinarsi al mondo dell’arte contemporanea – ci spiega Carlo Bach, direttore artistico di Illycaffè – deriva da una passione della famiglia Illy che poi ha influenzato anche il modo di fare azienda». Ogni anno Illy destina il 10% del suo fatturato (nel 2008 il giro d’affari consolidato era pari a 280 milioni) alle attività di comunicazione, e in questa quota rientrano le attività pianificate nell’ambito artistico e le campagne pubblicitarie. «Inoltre – prosegue Bach – i proventi delle Illy Art Collection vengono reinvestiti in progetti artistici».
Maria Adelaide Marchesoni
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