Rassegna stampa

Per competere meglio puntare sul polo leader

Da sempre le fiere accompagnano e supportano la crescita delle imprese e dell’economia. Sono, e resteranno, strumenti efficacissimi di promozione e internazionalizzazione.
Appare dunque a maggior ragione preoccupante che in Italia una gestione miope dei centri espositivi rischi di trasformarle da efficaci sostegni del sistema industriale in un freno alla sua espansione. I nostri centri espositivi hanno ormai quasi tutti completato lo storico passaggio dallo status di enti a quello di spa. Ma per ora l’assunzione della nuova veste giuridica raramente ha coinciso con una reale privatizzazione e con la condivisione dei valori e comportamenti propri del libero mercato. Istituzioni politiche ed economiche locali mantengono posizioni di controllo in queste spa, le governano, e talvolta finanziano, in funzione della ricerca del consenso piuttosto che dello sviluppo dei comparti produttivi. Oltre una certa soglia questo sviluppo deve però confrontarsi con la concorrenza internazionale e necessita di strumenti fieristici adeguati alla dimensione globale della sfida, ossia di complessi in grado di offrire dai 150mila metri quadrati netti in su.
Perché tale è oggi l’ordine di grandezza delle mostre internazionali leader. In questa situazione l’irrompere sulla scena del nuovo complesso espositivo di Fiera Milano, uno dei più vasti, moderni e funzionali al mondo e l’unico in Italia di livello davvero europeo, non è stato salutato come una risorsa in più da mettere a sistema, ma come una minaccia per gli altri quartieri. Con due allarmanti conseguenze. Innanzitutto gli investimenti destinati all’ampliamento dei centri espositivi hanno subito un’accelerazione, al di là di qualsiasi ragionevole valutazione di compatibilità sistemica tra espansione dell’offerta di spazi e dinamica della domanda, che non sfugge al rallentamento economico generale. Inoltre mostre che vorrebbero trasferirsi a Milano, avendo individuato in quella sede le condizioni ideali per la loro ulteriore crescita, sono tenute “prigioniere” nelle sedi storiche, che non esitano a ricorrere a pressioni di vario tipo e agevolazioni che falsano la concorrenza.
È tempo di una seria riflessione. Anche il mercato fieristico è ormai globale e va incontro a una feroce selezione che lascerà sul campo in Europa pochissimi player continentali. In Italia – dicono gli analisti – solo uno: Fiera Milano. Se non sarà Milano, non sarà nessuno. Gli altri quartieri dovrebbero allora capire quali sono i ruoli e valorizzare il loro, trovando la corretta misura di interazione con il comprensorio a cui fanno riferimento e con le imprese a cui offrono servizi espositivi.
Non ha senso disperdere risorse in una rincorsa al gigantismo (e alla moltiplicazione delle fiere) che comunque non riuscirà mai a garantire un ruolo continentale. Meglio destinare tali risorse, comprese quelle che dovessero essere liberate dalle agevolazioni fiscali al settore dal disegno di legge sulla competitività, a miglioramenti qualitativi dei servizi, delle strutture esistenti, dei collegamenti, del supporto dato dal territorio all’attività fieristica. Insomma, qualità e non quantità.
Ecco, lamenterà qualcuno, Fiera Milano che vuol fare l’asso pigliatutto. Non è così. Al contrario, diciamo ai nostri concorrenti: affittate le nostre strutture e portataci le vostre mostre che necessitano di spazi più ampi e funzionali. In questo modo ne manterrete il controllo, ma non soffocherete i comparti industriali, che alla fine cercheranno in Germania, Spagna o Francia quello che non trovano qui. La nostra disponibilità è massima, purché dialogo e confronto avvengano su basi concorrenziali eguali per tutti. Ma di certo non abdicheremo alla nostra leadership, supportata dalle migliori strutture oggi esistenti e da un bilancio solido e sano, privando l’economia italiana dell’unica carta fieristica europea di cui dispone.

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