
Parigi premia Jaime Hayon
«Non mi piace riconoscere confini per la mia professione, penso che oggi sia necessario ripensare la figura del designer, rivedere il suo ruolo, allargare il raggio dei suoi compiti…» A Maison&Objet, la fiera che si terrà a Parigi dal 3 al 7 settembre, di Parigi, Jaime Hayon, 36 anni, sarà il più celebrato. Vincitore di “Designer scènes d’intérieur 2010”, a festeggiarlo ci saranno due mostre: nel negozio di Silvera saranno esposte, e in vendita, tutte le sue creazioni più introvabili e verrà presentata la nuova collezione per l’azienda SE’, in fiera, la retrospettiva “Moving ideas” ripercorrerà le tappe più importanti della sua carriera, in scena su una curiosa struttura roteante.
Spagnolo, è da poco ufficialmente di stanza a Londra. In realtà “sparso” per l’Europa, ha una casa a Valencia, un ufficio a Barcellona, mezzo studio ancora in Italia, nei pressi di Treviso (dove per anni ha diretto il dipartimento di design di Fabrica). Lo incontriamo alla vigilia del trionfo parigino, tra i suoi incredibili quaderni che esplodono di disegni e di idee, pieno di racconti sul futuro.
Basta sfogliare i suoi taccuini per trovarsi di fronte una creatività strabordante e visionaria. D’altro canto lei è un ottimo organizzatore, un coordinatore efficiente, ha curato da solo grosse mostre, diretto un dipartimento di design… Due aspetti opposti della sua personalità?
Esatto, due parti di me che vedo lucidamente: c’è un Jaime che procede come una specie di vulcano, in un’eruzione di idee continua, a volte poco gestibile. C’è un Jaime metodico, preciso, tecnologico, che procede per schemi. Credo, però, che il lato “esplosivo” prevalga, anche se ultimamente si fonde in modo naturale con quello più tecnico. Dopo quasi 10 anni di lavoro a contatto con gli artigiani, oggi le mie visioni nascono già funzionali al modo in cui l’oggetto verrà realizzato: insieme alle forme, immagino i materiali, la maniera in cui incastrarli più facilmente. Mi sembra di essere maturato, anche se un po’ di sana schizofrenia rimane.
Dalle scarpe alle vasche da bagno, dai soprammobili a ristoranti interi, installazioni pubbliche, ha disegnato di tutto. C’è una cifra che tiene insieme i suoi progetti?
Ho un approccio trasversale e “non specializzato”, vorrei cimentarmi in ogni campo: dopo il successo della scacchiera gigante di Trafalgar Square ho in programma un’altra installazione pubblica (segretissima), poi mi piacerebbe iniziare a disegnare scenografie, e persino la musica. In questa varietà ci sono però codici e segni ricorrenti, un uso particolare del colore…Poi forse, almeno finora, tutti gli oggetti che ho disegnato sono accomunati dal fatto di essere realizzati con materiali di qualità e tecniche piuttosto sofisticate.
Il mondo del lusso la affascina?
Non esattamente, diciamo però che fino ad oggi mi è capitato di disegnare quasi esclusivamente cose di lusso. Senza cercarle mi arrivano commissioni per interni e oggetti costosi. Forse i proprietari di ristoranti a tre stelle Michelin o di famose oreficerie mi chiamano perché sanno che progetterò tutto nel dettaglio, fino al pomello della porta: chi dispone di grnadi budget ha molta cura nei particolari… D’altro canto sono un amante del lusso inteso come possibilità di progettare cose che valgano e durino. Finora, non sono stato un disegnatore di “oggetti democratici”, o di luoghi accessibili a tutti, non ho lavorato con la plastica, ma con il cristallo, la porcellana più preziosa, i marmi e i legni più pregiati. Ciò detto, sarei davvero felice se mi commissionassero la progettazione degli interni di un fast food, sarebbe una bella sfida.
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