
Organizzatori digitali cercasi
di Andrea Granelli
Presidente
di Kanso Che gli scenari competitivi stiano cambiando radicalmente è un fatto oramai assodato. Una delle cause di questa mutazione di cui poco si parla è la diffusione di nuove tecnologie – come le nanotecnologie o le tecnologie digitali – dal forte impatto "orizzontale". Il loro utilizzo non si concentra cioè in specifiche filiere produttive, ma tende a essere trasversale.
La diffusione pervasiva di tali tecnologie – oltre a cambiare i fattori competitivi all’interno delle singole filiere – inizia a sfumare la vecchia segmentazione dei settori tanto cara agli uffici statistici e alle associazioni di categoria. Se poi a ciò si unisce il crescente potere del consumatore, la tendenza – nella Pubblica amministrazione ma non solo – a facilitare e incentivare un’integrazione dell’offerta (contract, global service, progetti unitari di valorizzazione di un luogo, eccetera) e l’esigenza sempre più marcata di innovazione discontinua che integra in questo processo non solo gli attori a monte e a valle della filiera, ma anche le componenti di servizio – sempre più parte integrante dell’offerta – la "tenuta" dei settori tradizionali scema ancora di più.
Ciò ha diverse implicazioni. Innanzitutto una difficoltà delle tradizionali associazioni di categorie nell’assistere i propri associati su temi di frontiera come l’innovazione tecnologica o dei modelli di business. Associazioni nate in maniera separata tendono oggi a integrarsi (come nel caso della luce, vista sia come impianto sia come oggetto d’arredo, o in quello del cosiddetto terziario avanzato), mentre nuove associazioni si affacciano all’orizzonte (come nel caso del restauro o della filiera produttiva dell’audiovisivo). Ma ciò tutto sommato può essere considerato fisiologico.
Più critici sono invece i momenti di marketing collettivo, quelli cioè che consentono a gruppi di imprese appartenenti allo stesso settore o area tematica di esporre i loro prodotti o di raccontare ai propri mercati di riferimento i trend di sviluppo. Il luogo principe è naturalmente la fiera. Ora il settore fieristico sta vivendo un momento di grande ristrutturazione, dovuto non solo alla concorrenza sempre più agguerrita dei luoghi espositivi (vecchi e nuovi) e ai processi di concentrazione, ma anche al fatto che in alcuni contesti la formula di fiera campionaria o di mostra convegno – efficace per i settori tradizionali – riesce sempre di meno a cogliere le esigenze delle aziende e degli ecosistemi in cui esse operano.
In un mercato globale, dove oltretutto le aziende leader devono seguire i rituali delle comunicazioni finanziarie, i prodotti vengono ormai lanciati con sempre maggiore frequenza in maniera indipendente dai calendari delle grandi fiere di settore. Oltretutto l’apertura di queste fiere anche a un pubblico indiscriminato (per incrementare i fatturati da bigliettazione o creare titoli di interesse giornalistico) rende problematica la progettazione degli stand e l’organizzazione degli eventi collaterali.
Anche i processi di acquisto delle imprese sono senza soluzione di continuità. Diventano quindi sempre più importanti i market place digitali (gestiti sia direttamente dalle aziende sia da nuovi intermediari e aggregatori) che sono "aperti" tutto l’anno e garantiscono in maniera continuativa e diretta attività di intermediazione fra gli espositori e i visitatori. Oltretutto l’evoluzione delle tecnologie digitali sta rendendo sempre più efficaci e ricchi di informazioni (e con costi decrescenti) i siti web delle imprese. Il tempo dei portali, tipici della prima fase di internet, è oramai tramontato e le aziende più evolute puntano a strutturare delle vere e proprie presenze digitali, che utilizzano contenuti audiovisivi e piattaforme multilingua, creano e supportano comunità di utenti, raccolgono input per i loro prodotti e soprattutto sono accessibili da più media digitali (computer, telefonino, palmare, tv digitale, radio…).
Non tutte le aziende hanno però le capacità di utilizzare le funzionalità rese possibili dalle tecnologie digitali di nuova generazione. Sarebbero quindi molto utili degli "organizzatori digitali" che aiutino le imprese non solo a strutturare la loro presenza digitale, ma anche quella nei market place e nelle "fiere virtuali". Ma le strutture fieristiche fanno fatica a cogliere queste straordinarie opportunità offerte dalle tecnologie digitale e forzate dai nuovi scenari competitivi.
Sono spesso gestite come un business immobiliare, il cui obiettivo principale è "vendere" gli spazi dell’edificio fieristico di cui sono proprietari. Per questo motivo guardano sempre con fastidio i "fuori salone", anche quando sono parte integrante dell’evento e ne aumentano la notorietà e l’efficacia, e considerano la parte digitale come una sezione ancillare alla vendita degli spazi fieristici, quasi un semplice catalogo/testimonianza del venduto.
Questo atteggiamento è un déjà vu e ricorda la reazione iniziale delle imprese davanti al commercio elettronico: visto più come antagonista alla distribuzione fisica che non ulteriore spazio per entrare in nuovi mercati e servire meglio i proprio clienti. Lo stesso sta capitando nel caso degli eventi fieristici: vendere uno spazio digitale potrebbe togliere la possibilità di vendere lo spazio fisico, e quindi viene considerato un pericolo. Basterebbe studiare meglio la storia dell’eCommerce e i benefici che ha portato alle aziende che ne hanno colto le potenzialità per evitare queste difese stereotipate e di retroguardia. Ma ciò sembra non essere la priorità delle fiere; e quand’anche si manifestasse il desiderio di innovare, gli enti fieristici tendono a "lasciare il pallino" alle società di gestione degli eventi fieristici. Generalmente sono società partecipate dalle fiere stesse e da operatori spesso coincidenti con specifici segmenti industriali che quindi usano formule consolidate e sono tipicamente ostili a cogliere le opportunità offerte da nuovi modelli fieristici e dalle dinamiche nella segmentazione di settore.
Vi è un’ultima criticità legata alle attuali modalità di gestione degli eventi fieristici. A ben vedere, una fiera è soprattutto una straordinaria occasione di generazione di contenuti, essendo di fatto un editore 2.0 ante litteram, dato che la maggior parte dei contenuti sono messi a disposizione dai partecipanti. Non solo la convegnistica, gli eventi collaterali e il materiale documentale e dimostrativo prodotto, ma gli stessi stand sono spesso uno straordinario veicolo di comunicazione ricco di informazioni utili per i visitatori. Anche in questo caso il fatto che il successo di una fiera si misuri nei metri quadrati venduti e nei partecipanti all’evento concentra tutte le energie nei pochi giorni dell’evento.
Una volta finito, tutto il materiale viene perso. Alcune aziende – le più previdenti – creano stand riutilizzabili che portano ad altre manifestazioni, ma l’approccio non cambia nella sostanza. Quasi nulla dei contenuti prodotti si traduce in digitale, anche se il materiale è tutto fuorché effimero e potrebbe diventare il nucleo di una ricchissima e permanente "fiera digitale". Ciò vale anche per i festival, che vanno dalla letteratura alla scienza alla storia fino al design. Gli organizzatori vedono la costruzione dei contenuti digitali prodotti dal l’evento molto costosa e poco utile al successo dell’evento, mentre gli editori di nuova generazione (legati alla banda larga e alle sue possibilità di creare una nuova generazione di contenuti) non sono ancora nati.
Solo la musica ha assistito all’ingresso di nuovi attori, come la Apple, che stanno modificando il settore fin dalle sue fondamenta. L’editoria di business e il supporto alla formazione e all’apprendimento devono aspettare ancora per ripensarsi e integrarsi.