
Ora Roma in Cina cambia copione
DI LUCA VINCIGUERRA
A Pechino ormai lo danno per sicuro: a metà settembre, Romano Prodi verrà in Cina. Il primo ministro italiano avrebbe deciso di andare in trasferta oltre la Grande Muraglia a pochi mesi dalla conquista di Palazzo Chigi (e probabilmente prima ancora di visitare la Casa Bianca) per un buon motivo. Dal 15 al 18 settembre, a Canton si svolgerà la Fiera internazionale delle Piccole e medie imprese e l’Italia sarà co-organizzatrice dell’evento (vedi anche Il Sole 24 Ore del 16 maggio, pag. 25).
Quale migliore occasione per promuovere il sistema dei distretti e per diffondere il concetto di piccolo è bello che ha reso famosa l’industria italiana nel mondo? Prodi, che già in campagna elettorale aveva annunciato un drastico cambio di rotta nei confronti della Cina, sembra deciso a non lasciarsela sfuggire. Anche se, per una strana girandola di date, la trasferta asiatica si annuncia particolarmente lunga. Almeno cinque giorni se, come il protocollo impone, il presidente del Consiglio vorrà prima inaugurare la Fiera delle Pmi di Canton e poi incontrare il premier cinese, Wen Jiabao.
Dopo anni di politiche ondivaghe e ambigue nei confronti di Pechino, è un sacrificio che vale la pena di fare. A condizione, però, che la storica opportunità offerta dall’Esposizione di Canton e dal "2006 Anno dell’Italia in Cina" venga sfruttata al massimo dai componenti la delegazione che si annuncia fin d’ora folta e qualificata. E non diventi, come accaduto troppo spesso in passato, un carrozzone stravagante di vacanzieri.
Ma questa volta, assicurano gli organizzatori della visita di Prodi, la musica sarà diversa. «Questa missione contiene una novità importante: la priorità assoluta data dal nuovo Governo italiano alla Cina e il suo desiderio di mettersi a lavorare subito con gli amici cinesi», afferma Gabriele Menegatti, ambasciatore italiano a Pechino.
Verissimo. Ciononostante, sul tappeto restano i problemi di fondo che hanno già contribuito al fallimento di parecchie missioni precedenti. Due su tutti. L’incapacità di fornire alle imprese italiane al seguito incontri selezionati, in modo che i contatti si trasformino in contratti. E la difficoltà di dare un seguito concreto e duraturo agli accordi siglati sulla carta.
Prodi ha già anticipato con una battuta le linee strategiche del suo viaggio in Cina: «L’Italia non può pensare di vendere ai cinesi quello che non ha», ha detto qualche giorno fa il primo ministro. Inutile, dunque, sperare che la visita di Stato possa condurre alla sigla di contratti industriali miliardari come quelli sbattuti puntualmente sulle prime pagine dei giornali quando a varcare la Grande Muraglia sono i leader tedeschi, francesi e perfino spagnoli. Senza l’aeronautica, il nucleare, l’informatica, la chimica sarebbe una partita persa in partenza.
Bisogna dunque inventarsi un copione diverso. Un copione che vede come protagoniste le piccole e medie imprese (non solo quelle che esporranno alla Fiera di Canton). Le quali, nei piani del Governo Prodi, dovrebbero diventare il motore delle relazioni economico-commerciali tra Italia e Cina. «L’idea – spiega l’ambasciatore Menegatti – è quella di vendere non solo il nostro sistema di Pmi, ma anche il suo modello di sviluppo. Dobbiamo chiedere ai cinesi: volete trasformare le vostre campagne miserabili in nuovi centri industriali o agricoli in modo da arginare l’inurbamento selvaggio del Paese? Noi l’abbiamo fatto l’altroieri e siamo pronti a insegnarvelo».
Il nuovo piano strategico non prevede però offensive a tutto campo. Al contrario, sarà focalizzato nelle aree dove il Sistema Italia è già radicato o dove può contare su una solida rete di rapporti istituzionali. Tre zone in particolare. La prima è a Tianjin, all’interno del nuovo polo industriale di Binhai che si candida a diventare la terza piattaforma manifatturiera della Cina. La seconda è dentro il Parco industriale della città di Suzhou (oggi uno dei maggiori poli di attrazione degli investimenti esteri). La terza è un territorio ricco e sconfinato: l’intera Provincia del Guangdong. Secondo Menegatti, grazie alla politica di amicizia e cooperazione svolta dall’Italia con le amministrazioni di queste tre regioni industriali, lì il Sistema Italia troverà le porte spalancate. A patto di proporre ai cinesi progetti validi e convincenti.
L’ambasciatore a Pechino ne è talmente convinto, da lasciarsi sfuggire una promessa che vale tanto oro quanto pesa, soprattutto perché è rivolta alle nostre Pmi che da sempre si lamentano dello scarso supporto istituzionale fornito al loro processo di internazionalizzazione. «Le aziende italiane che decideranno di investire nelle tre aree che abbiamo individuato riceveranno tutto il nostro aiuto. Siamo pronti ad accompagnarle per mano dai loro primi passi in Cina fino all’apertura degli uffici», assicura Menegatti. Provare per credere.
luca.vinciguerra@ilsole24ore.com