Rassegna stampa

Numeri primi all’asta

di Stefano Salis

Edizione numero 60 per la Buchmesse di Francoforte al l’insegna della cautela e del l’incertezza. Se nei bar della città finanziaria tedesca negli scorsi giorni feriali non era difficile vedere, finito il turno di lavoro, i broker con occhi sconsolati fissare il vuoto dietro a una birra, anche tra gli stand e nei tavoli di contrattazione non si è badato solo alle cifre scritte sui contratti ma ai più inconsueti numeri che venivano dalle Borse di New York, Francoforte o Londra. Dow Jones e Dax, insomma, hanno costituito un inedito argomento di conversazione tra gli editori – soprattutto con gli anglo-americani – molto prudenti e per di più insicuri su come la crisi che verrà si ripercuoterà sul settore.

«È stata una Fiera nella quale si è tornati a parlare di libri – spiega Massimo Turchetta di Mondadori –. Una Buchmesse seria, con meno fenomeni isterici e minor frenesia: si è avuto il tempo di leggere i libri e valutarli». In altre parole, è finito il tempo delle aste pazze a suon di cifre a sei zeri (nelle quali, per la verità, gli italiani si sono sempre distinti) e dei manoscritti dei quali si conosce a mala pena la trama e la cui qualità di scrittura è giudicata sulla base di una lettura notturna. Qualcuno si spinge a dire che anche gli agenti non hanno voluto estrarre – se pure lo avevano – il grande colpo, perché in una situazione simile non avrebbero massimizzato il profitto, ma l’opinione più comune tra gli editori è che in giro non ci fossero davvero i grandi libri. Molto perplesso Giuseppe Laterza (che comunque si è assicurato la rapida riedizione con aggiornamento dei libri di Paul Krugman, fresco di Nobel; lo stesso farà Garzanti), addirittura incerto se fare lo stand l’anno prossimo Luca Formenton del Saggiatore, delusi, nella valutazione generale della Buchmesse Paolo Zaninoni (Rcs, «si sente la depressione») e Stefano Mauri (Gruppo Mauri Spagnol) che spiega come Francoforte «serve anche ad altro, non solo a comprare e vendere libri», cauto Ernesto Franco di Einaudi che mette l’accento sui libri venduti.

E già: perché, nonostante tutto gli affari si sono continuati a fare e, per gli italiani, l’edizione 2008 potrebbe addirittura fare intravvedere qualcosa di buono: dopo anni di fiere passati a cercare di comprare e farsi concorrenza sugli acquisti, anche i nostri editori – quelli più attivi e lungimiranti almeno – provano a vendere i propri libri. Intanto gli autori italiani. Il colpo dell’anno è quello di Paolo Giordano. La sua Solitudine dei numeri primi (Mondadori), prossima al milione di copie vendute, è finita in un’asta tra editori americani (mai successo prima, in pratica) che si concluderà a giorni. Editori e cifre sono importanti. E poi anche la Mazzucco o la Fallaci (entrambe Rizzoli) si sono mosse bene. Ma la vera novità è che su progetti e opere nei quali credono fortemente, gli editori italiani comprano i diritti mondiali e poi cercano di rivenderli all’estero; spesso con successo. Einaudi ha fatto centro con la Matematica (in 4 volumi), venduta in Francia e Corea e con il nuovo libro di Tariq Ramadan (Islam e libertà, venduto in Usa), Salani ha per le mani i diritti mondiali di un romanzo della cinese Zhang Jie, Senza parole, per il quale sono arrivate offerte da 62 Paesi, Rizzoli si coccola il premio Nobel iraniano Shirin Ebadi che con la Gabbia d’oro è arrivata in quattro Paesi, mentre in altri tre è stata venduta la blogger cubana Yoani Sanchez (il libro si chiamerà Cuba Libre e apparirà la primavera prossima). Anche i piccoli si danno da fare in questa direzione. Per esempio Bollati Boringhieri ha commissionato un volume sulla Georgia a uno dei massimi esperti del settore, il polacco Wojciech Górecki, e lo ha venduto in Polonia e America; un altro pamphlet di Giulio Sapelli (La crisi economica mondiale, a novembre in libreria) ha trovato acquirenti in America e Inghilterra. Il prossimo Bobbio (titolo di lavoro L’idea di rivoluzione, Einaudi) apparirà nell’autunno 2009 ed è già venduto in Inghilterra. Elegante la strategia di Sandro Ferri di e/o che, con la creazione di Europa Editions (e con un altra sigla che fa libri in arabo) si è costruito una casa editrice americana che opera direttamente su quel mercato: è così che il Riccio della Barbery (oltre 600mila copie da noi) è stato pubblicato in America e con 30mila copie è già in vetta alle classifiche dei librai indipendenti.

Ovviamente i libri comprati sono sempre più di quelli venduti, ma in una competizione che sarà sempre più globale, questa strada dovrà essere percorsa. In tal senso la pubblicazione in italiano di una rivista come «Granta» (da Rizzoli) potrebbe essere visto come un ulteriore passo con il quale adeguare i nostri giovani autori a quelli del mondo anglosassone e far crescere scrittori che abbiano un immaginario condivisibile a più latitudini. Paolo Giordano, appunto, docet.

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