Rassegna stampa

Metti un libro nel motore

Bagno di folla per Orhan Pamuk in attesa di altro processo in Turchia, tutto esaurito per Travaglio, con attacchi al Presidente della Repubblica, sala piena per il decorato Magris, fan scatenati per Baglioni romanziere, pubblico delle grandi occasioni per Eco e Carrière bibliofili e poi Guccini, Carofiglio, Corona e via elencando; persino per la storia della punteggiatura non si trova un posto. Insomma, la Fiera del Libro (che chiude domani) veleggia verso numeri record di visitatori (+10% si stima, rispetto ai 300mila dello scorso anno, quando qualcuno non venne per i tafferugli anti-israeliani). E conferma uno stato di salute che la colloca in una posizione di rilievo nel panorama internazionale delle manifestazioni dedicate all’editoria.
Eppure il vero uomo della Fiera non è stato uno scrittore. Ma, forse prevedibilmente, il boss della Fiat Sergio Marchionne, che nel pomeriggio di venerdì si è materializzato nella Sala Azzurra per presentare il libro del neo-direttore de «La Stampa» Mario Calabresi sull’America di Obama. È stato quello l’appuntamento più visto in assoluto: code per entrare e molti rimasti alla porta. Ad ascoltare comunque, da fuori. I vertici di due istituzioni simbolo di Torino meritavano una location più importante; di certo la presenza di Marchionne segnala, una volta di più, l’interesse che si muove intorno a questo manager «miracoloso». Di «miracolo», infatti, ha parlato Ernesto Ferrero, direttore editoriale della Fiera, il giorno del l’inaugurazione riferendosi proprio all’attivismo Fiat di questi tempi.
Fa riflettere questa “resurrezione” di un marchio dato per spacciato fino a qualche anno fa («nel 2004 eravamo alla frutta», Marchionne dixit), proprio nel momento in cui, stando a “Radio-Fiera” l’editoria torinese, a lungo secondo vanto della città dopo l’auto, sembrerebbe perdere progressivamente i pezzi. Almeno se Bollati Boringhieri (ultimo fatturato 6 milioni di euro, in crescita, con perdita di circa 500mila euro, in calo) davvero passerà nelle mani del gruppo milanese Mauri Spagnol, che per altro domani si allargherà anche in Spagna, con la nascita di Duomo ediciones. Tutti smentiscono ma pare che l’affare sia in dirittura d’arrivo (questione di prezzo). E così di editori indipendenti, a Torino, ne rimarranno ben pochi. Tutti risucchiati in altri gruppi, come il più famoso, Einaudi. «Che però ha ancora forte radicamento in città» obietta Ferrero, che della casa editrice ha scritto una storia commovente. E sarà pure ma, di certo, tra «Struzzi» che sospendono o direttori editoriali che abbandonano, non è più la via Biancamano di una volta. Non siamo per la nostalgia ma sono lontani i giorni che ha ricordato Bruno Gambarotta celebrando il centenario di Norberto Bobbio, quando anche la topografia cittadina (gli Einaudi, i Ginzburg, i Levi erano vicini di casa…), oltre che le idee e l’idem sentire, contava. Gli editori “torinesi” rimarranno i piccoli e agguerriti Instar di Gaspare Bona (in catalogo anche il Nobel Le Clézio e alcuni giovani autori interessanti) o quel Nino Aragno che, in nome di un’editoria aristocratica e “pura” – sarebbe piaciuta all’hidalgo editorial Giulio Einaudi – , ha avuto notizia, in Fiera, del Premio «Un editore per l’Europa» del comune di Alassio.
Così, nell’anno della sciagura del Grinzane, forse l’ultimo baluardo editoriale della città è proprio la Fiera. Che ha tutti i mezzi per ambire a qualcosa in più. Visitatori, ricavi ed espositori in crescita, visibilità internazionale (più pubblico che al Salon di Parigi), un marchio riconosciuto e valutato, secondo una ricerca presentata ieri, in 2 milioni di euro. E, soprattutto, un indotto per l’economia cittadina che gli autori della ricerca valutano in 25-30 milioni di euro annui. «La Fiera va bene – sottolinea Ferrero – e dovremo pensare a qualche iniziativa in più durante l’anno». È soddisfatto Rolando Picchioni, presidente della Fondazione che regge la Fiera e annuncia l’accordo con i proprietari francesi, GL Events, del Lingotto per un ulteriore aumento della superficie. «Nel 2012 avremo il quarto padiglione, passando da 50mila a 90mila metri quadri. Siamo una manifestazione sempre più internazionale e importante, come dimostra anche l’attività dell’International Book Forum» che quest’anno ha avuto circa 600 tra editori e agenti per lo scambio di diritti d’autore. L’anno prossimo l’ospite dovrebbe essere l’India e Picchioni & Co stanno pensando anche a un premio tutto nuovo.
Tra gli stand, nonostante l’economia e la crisi furoreggino nei dibattiti, le vendite sembrano almeno in linea con gli anni passati. Di sicuro Torino resta un appuntamento irrinunciabile per chi l’editoria la fa, a tutti i livelli. Quest’anno si sono anche incontrati in segreto editori e librai in cerca di un ennesimo accordo sullo sconto. Tema delicatissimo che, probabilmente, sarà anche la prima gatta da pelare per il nuovo presidente degli editori. Lo eleggeranno il prossimo 27: stando ai rumors, il più accreditato a succedere al lungo regno di Federico Motta dovrebbe essere Marco Polillo (60 anni compiuti in Fiera), editore in proprio e romanziere in prestito (in uscita da Piemme). Unico in Italia a essere stato direttore generale di Mondadori e Rizzoli, prima di provare sulla propria pelle le «difficoltà» di un marchio piccolo e indipendente.
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