
Ma il nuovo regolamento dimentica la Cassazione
Ogni parola è un’esperienza di vita, e pertanto lo stesso termine può avere in culture diverse significati anche del tutto opposti. Queste considerazioni vengono alla mente nella definizione delle spese di “rappresentanza”, termine che può assumere una pluralità di significati, generatori di controversie nel campo tributario, quando la qualificazione della spesa determina conseguenze differenti in termini di deduzione del costo o detrazione dell’Iva. Parlando dell’Iva, occorre fare riferimento alle direttive comunitarie, dove il termine viene accostato a quelli di “lusso”, “divertimento” o “intrattenimento”, a seconda delle versioni linguistiche.
Nel nostro ordinamento tributario la prima norma per le imposte sui redditi entra in vigore nel 1989, con una disposizione a dir poco stravagante: le spese di rappresentanza sono indeducibili per due terzi e il rimanente terzo costituisce spesa pluriennale, deducibile in tre e poi cinque periodi di imposta. Il Secit aveva adottato una delibera per affermare che la sponsorizzazione del marchio sarebbe stata spesa di rappresentanza, quella del prodotto una spesa di pubblicità, ma la stessa amministrazione finanziaria non aveva seguito questo orientamento, privo di qualsiasi logica. Le incertezze in materia avevano poi indotto il legislatore a prevedere un interpello, affidato al Comitato consultivo per le norme antielusive, finalizzato a risolvere casi dubbi in questo ambito, ma quelli oggetto di una risposta sono stati molto limitati e non sempre significativi.
Una sentenza della Corte di cassazione ci porta al nuovo provvedimento delle finanze, avendo il medesimo oggetto, che era l’insieme delle attività svolte in una fiera, che consistevano nel servizio bar giornaliero nei pressi dell’area espositiva, da pranzi consumati nella zona ove si è svolta la fiera e in occasione della fiera, da spettacoli vari di intrattenimento che erano stati organizzati in favore dei visitatori e da altre spese di diversa natura sostenute, comunque, in relazione alla manifestazione fieristica. Per l’amministrazione finanziaria tutti questi costi erano di rappresentanza, mentre la sentenza 7803/2000, condannando anche l’amministrazione al pagamento delle spese, aveva dato piena ragione al contribuente, affermando che queste, per qualsiasi natura di spesa, vanno individuate come spese sostenute all’interno di un “contenitore” (la fiera del mobile) che certamente è uno strumento di promozione delle vendite, da cui l’evidenza che tutte le spese sono inerenti a una manifestazione pubblicitaria.
Il provvedimento attuativo distingue, invece, tra spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre o fiere, rispetto a quelle sostenute per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di queste manifestazioni, in cui siano esposti beni o servizi prodotti dall’impresa. Questo orientamento, del tutto contrario ai principi enunciati dalla Cassazione, suscita non poche perplessità, in quanto limita la deducibilità di questi oneri, in ragione della loro natura, data l’identica destinazione alla promozione delle vendite, cioè sostanzialmente della loro inerenza.
Molto restrittiva è anche la qualificazione tra le spese di rappresentanza per i contributi erogati per convegni, seminari e manifestazioni simili.
È significativa al riguardo l’indicazione relativa all’erogazione, che deve avvenire “gratuitamente”, cioè senza una contropartita. E qui ci saranno subito i primi problemi interpretativi, in quanto chi sponsorizza un evento viene comunque evidenziato con tale qualifica nel materiale distribuito ai partecipanti, e si porrà quindi il problema di distinguere tra l’apposizione del marchio dello sponsor come mera consuetudine e segno di ringraziamento, o come specifico obbligo dell’organizzatore, cui consegue la nozione dell’obbligazione di fare, che comporta l’obbligo di emissione di una vera e propria fattura. Nel primo caso è rappresentanza, nel secondo pubblicità. di Raffaele Rizzardi