
Lo sviluppo chiamato fondazione
La complessità dei rapporti tra istituzioni, società e mercato, sia in Europa sia in Italia, richiede una analisi accurata e priva di pregiudizi. É quanto cercherò di fare, muovendo dalla posizione in cui mi colloco, a metà tra il settore privato e un pubblico che tende la mano al mercato, pur in ambiti circoscritti all’interesse collettivo.
Credo infatti che una possibile risposta stia nell’inventare o riconoscere forme alternative di collaborazione tra i due ambiti e dare loro una legittimazione, fatta di regole quanto di capacità operativa.
Sono “forme” che talvolta esistono già, anche se è complesso spiegarne la natura. Tra queste, una è rappresentata dalle fondazioni di sviluppo. Un nome nato dall’intuizione di uno studioso, Alberto Quadrio Curzio, che ha osservato la realtà di Fondazione Fiera Milano, e l’ha chiamata “fondazione di sviluppo”.
Forse è la prima di questa natura, riconosciuta dagli studiosi, in Italia. E se poi le parole sono importanti come penso, allora da un nome deve discendere necessariamente una caratterizzazione operativa. Un tentativo, questo, che provo a fare in cinque punti.
1) Le fondazioni di sviluppo sono soggetti economici nuovi, privati ma che operano nell’interesse comune. Differenti – pur con analogie strategiche e di obiettivi – da altre fondazioni, quelle bancarie prima di tutto, e poi da tutto il mondo del non profit e della cooperazione sociale, nascono e creano valore economico operando su progetti specifici, grazie alla loro capacità di creare sinergie tra istituzioni, finanza, ricerca e sviluppo, mercato e società in una dimensione di collaborazione e condivisione reciproca.
Fondazione Fiera Milano, creata nel 2000, sembra aver trovato oggi una sua definizione e un suo futuro nell’idea di fondazione di sviluppo. Questo, per tre sue caratteristiche peculiari. Primo, ha costruito un progetto finanziario che ha aggregato risorse sufficienti ad autofinanziare un progetto da oltre 750 milioni di euro, che trasforma parte di Milano e della sua provincia nord-ovest, senza aggravio sulle finanze dello Stato. Secondo, il suo centro di ricerca e sviluppo ha impiegato risorse nell’ascolto del territorio, non solo a uso interno, ma per l’integrazione con le aree da trasformare. Attraverso studi sulla popolazione, sugli impatti economici, sulle nuove professioni da sviluppare, sulla formazione, ha comunicato al territorio, con convegni, incontri, dibattiti. Ha fatto rete con le comunità locali. Da ultimo, ha creato attorno a sé un altro tipo di rete: da una società di engineering che si occupa della trasformazione del sistema fieristico alla “cabina di regia” con le istituzioni locali. Con loro ha compiuto un progetto di interesse nazionale, di rilancio della credibilità italiana in tema di grandi opere, coinvolto imprese e rappresentanze sociali, con un ingente impatto economico a Milano e in Lombardia.
2) Le fondazioni di sviluppo nascono sul territorio come espressione di un bisogno della società civile. Sono una via per dare soluzioni permanenti a mancanze strutturali e infrastrutturali di base per il Paese, perché vanno letteralmente a “coprire dei vuoti”. Ecco perché Fondazione Fiera Milano non è un caso isolato, ma rientra (o fonda) una categoria di soggetti: il suo metodo è stato sperimentato con successo sul campo: è “unico” e ripetibile al tempo stesso, perché nella sostanza può essere applicato e riprodotto, con caratteristiche di universalità, in altri progetti. Ha avuto successo nel portare a soluzione il problema del trasferimento della Fiera fuori dalla città, di cui si parlava già negli anni Sessanta: ha risposto a un bisogno reale con una soluzione in tempi brevi, utilizzando un approccio innovativo, di collaborazione-condivisione delle responsabilità e degli obiettivi con le istituzioni che è stato determinante e ha portato reciproco valore.
3) Le fondazioni di sviluppo si trovano attualmente in una striscia di confine: hanno bisogno di legittimazione politica, come entità che svolgono un servizio utile alla collettività, e al tempo stesso si auto-legittimano, come soggetti spontanei che nascono sul territorio.
Esprimono un bisogno che né lo Stato né le istituzioni locali possono colmare, quindi lavorano insieme con loro, non in concorrenza, e ne sono strumenti operativi. In questo sta l’applicazione del concetto di sussidiarietà. Nel caso delle fondazioni di sviluppo, poi, questo concetto si concretizza se legato al concetto di governance. Una forma di governo “allargato”, grazie a un’attribuzione precisa di compiti e responsabilità, in cui nessuno sia vicario di un altro ma in cui ciascuno si prenda un compito da svolgere e lo faccia sul serio, con un contributo proporzionale alle sue caratteristiche. Una governance della sussidiarietà, che possiede due output: uno a livello nazionale, dove è la politica a definire i confini delle azioni di questi nuovi soggetti, e l’altro a livello locale, dove dà voce a portatori di interessi particolari e si fa garante dello sviluppo territoriale.
4) Operare per l’interesse collettivo significa anche che la politica si avvicini all’economia reale, dove c’è bisogno di azione. Le fondazioni possono essere strumenti contemporaneamente di politica e territorio: posti nel centro, collegano i due mondi tra loro, in uno spirito di ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato. Il quadro economico oggi non solo richiede nuovi modelli e nuovi metodi, nuove tipologie di soggetti, ma anche un rapporto evoluto tra economia e Stato, maggiore partecipazione ai sistemi produttivi, interazione col “mondo del fare” anche attraverso lo strumento delle fondazioni di sviluppo.
5) Perché dunque le fondazioni di sviluppo sono diverse da altri soggetti? Sanno gestire la complessità perché hanno origine nei sistemi complessi. La globalizzazione porta a un mercato fluido, veloce, spesso difficile da prevedere. Allo stesso tempo, per mantenere competitività sul mercato, alle economie dei singoli Paesi vengono richieste infrastrutture stabili e resistenti ai cambiamenti. Grande è dunque il bisogno di attrarre investimenti privati in progetti di pubblico interesse.
Le fondazioni di sviluppo nascono e crescono in un mondo di reti, di servizi e soggetti di natura e dimensioni diverse, portatori di valori e di esigenze e possono conciliare l’aspetto privatistico dei progetti con quello pubblico.
In questo contesto, dunque, le parti che devono agire insieme sono da un lato le figure istituzionali, che a livello nazionale contribuiscono a definire e a mediare le relazioni tra il rapporto pubblico e il privato, i vincoli di governo delle attività in concessione, il controllo e la gestione delle reti. Le stesse istituzioni che a livello locale rendono possibile applicare tali relazioni, in progetti concreti. Dall’altro lato vi sono, invece, altri soggetti, come le fondazioni di sviluppo, che si propongono come strumenti delle istituzioni, come loro partner, e che con progetti di sviluppo locale cercano di combinare efficienza ed equità dei servizi, operando come reti. Fondazioni di sviluppo che creano valore, ovvero soggetti che cercano di dare rilievo ai valori etici di una comunità, producendo valore economico al tempo stesso.
* Presidente Fondazione Fiera Milano e vicepresidente Cassa depositi e prestiti