
Le fiere? Un business, ma solo all’estero
Il sostanziale disinteresse che le maggiori società immobiliari italiane nutrono per il settore fieristico non si spiega solo con i numeri. Gli ultimi, elaborati dal Cermes della Bocconi descrivono un 2004 (primo semestre) complessivamente stabile. Ma anche a prescindere dalla congiuntura il comparto fiere in Italia, concentrato in larga parte (74,6%) nel Nord, può vantare dimensioni di tutto rispetto. Nel 2003 sono stati più di otto milioni i mq affittati a quasi 174mila espositori, che hanno visto passare nei loro stand 24,5 milioni di visitatori.
Il panorama è diverso in Europa, dove ad esempio la francese Unibail ha in portafoglio, secondo i risultati 2004 presentati agli analisti lo scorso 3 febbraio, 646 milioni di euro di asset catalogati alla voce “Congressi ed esposizioni”. Non solo, ma la sua attività nel settore non manca di dinamismo. Rispetto al 2003 il valore degli asset di Unibail nel settore sono aumentati del 14,9% e la società ha annunciato, anche per aumentare il ventaglio di sinergie possibili, l’avvio di una trattativa esclusiva con Aprovia per l’acquisizione di Exposium, uno dei leader francesi nell’organizzazione di eventi con 103 appuntamenti nel carnet.
Nel nostro Paese la situazione è diversa e a frenare gli appetiti dei grandi nomi del real estate italiano sono in primo luogo le caratteristiche strutturali del sistema di gestione delle fiere. “Più che da una nostra scelta – riflette Massimo De Meo, ad di Beni Stabili – il mancato investimento dipende dal fatto che queste strutture sono sempre state gestite dagli enti fiera. Oggi sono in via di privatizzazione ma vedono ancora una forte presenza politica che non facilita la gestione di mercato”.
Una rapida lettura delle cronache delle ultime settimane, con le polemiche sulla privatizzazione della Fiera di Padova dopo la promozione dell’offerta della francese Gl Events a scapito della cordata locale “appoggiata” dal presidente della Regione Galan, non fa che dare ragione a De Meo.
La gestione efficiente degli eventi è un tema delicato per un investimento immobiliare di questo tipo, che richiede capitali ingenti in un’ottica di lungo periodo e promette ritorni incerti. “Quando si comprano uffici – riflette ad esempio Armando Borghi, docente dell’area di Finanza aziendale e immobiliare della Sda Bocconi – il valore risiede essenzialmente nell’immobile, e l’investitore si può disinteressare del tipo di attività che vi si svolge. Non così nelle fiere, perché se una struttura non funziona al meglio non può pagare i canoni di locazione”.
Ma non è solo nella qualità dei gestori che si nascondono i rischi per gli investitori. “Il business delle fiere – sottolinea Paolo Sangiotta, direttore asset management e investimenti di Aedes – viaggia in linea con l’andamento dell’economia, perché nelle fasi di arretramento le prime voci tagliate nel budget delle aziende sono quelle legate agli eventi”.
Diversificare questo tipo di rischio è possibile solo “per grandi società internazionali – conclude Sangiotta – specializzate nel settore, in grado di investire in più Paesi per compensare le performance deludenti di un polo con i buoni risultati di un’altra struttura”. Un quadro che il mercato domestico ancora non offre.