
Le due facce di Mustafa
di Alessandro Melazzini
L’editoria tedesca si prepara ad accogliere la Turchia, il Paese ospite alla prossima Fiera del Libro, con un fuoco di fila di volumi a lei dedicati. Tra questi segnaliamo una nuova biografia di Kemal Atatürk scritta dal turcologo Klaus Kreiser (Atatürk, C.H. Beck, Monaco, pagg. 334, € 24,90).
Mustafa Kemal (1881-1938) nasce nella Salonicco ottomana da una famiglia di modeste origini ed entra da giovanissimo nella scuola di addestramento militare, dove consegue ottimi voti. Prosegue poi il suo percorso di studi a Istanbul dove la sua passione per la matematica – si lamenterà in seguito – lo distoglie dagli interessi artistici. Per la sua carente fedeltà verso il sultano Abdul-Hamid II, nonché per la dedizione all’alcool, il giovane viene arrestato, ma dopo alcuni mesi è rilasciato e trasferito in Siria, dove gli è permesso di continuare la sua brillante carriera militare.
Dopo la presa di potere dei «giovani turchi» nel 1908, Kemal contribuisce a soffocare il movimento controrivoluzionario e, negli anni seguenti, è impegnato come soldato su più fronti, tra cui l’Africa, dove combatte volontario per difendere la Tripolitania dalle mire italiane («Qui abbiamo abbracciato i nostri connazionali e inchiodato lo spudorato nemico alla costa»). Durante la Prima guerra mondiale diventa sempre più consapevole che le terre balcaniche perdute dall’Impero ottomano non verranno mai più restituite e si distanzia così dalle aspirazioni unitarie del Governo, elaborando quella teoria di una nazione turca limitata alla Penisola anatolica che costituirà uno dei pilastri del suo regime. Certamente Kemal Atatürk è a conoscenza del genocidio degli Armeni perpetrato dai «giovani turchi» a partire dal 1915 ma non sembra averne preso direttamente parte. Su questo argomento, comunque, tacerà sempre.
La sua mutazione da stratega a politico avviene in seguito alla sconfitta ottomana e alla fuga al l’estero dei «giovani turchi». Egli, invitato dal nuovo e debole Governo a "controllare" il disarmo voluto dalle potenze vittoriose, utilizzando l’indispensabile telegrafo sviluppa rapidamente una vastissima rete di contatti che sarà fondamentale per gestire la presa di potere. Con la proclamazione della «circolare di Amasya» del 1919, Kemal nega al califfo di Istanbul l’autorità per comandare il Paese e indice la costituzione di un’Assemblea nazionale. In questo periodo di risorse estremamente limitate si occupa di consolidare il potere e riorganizzare l’esercito grazie anche ai contributi della Russia di Lenin. Nel ’22 riconquista Smirne, occupata tre anni prima dalla Grecia. È una vittoria militare fondamentale, che gli permette di rinegoziare la pace con le potenze alleate, di conferire alla Turchia la dignità di una potenza militare e di gettare le premesse per la stabilizzazione del fronte interno, reprimendo gli oppositori. Il 29 ottobre del 1923 nasce ad Ankara la Repubblica di Turchia, di cui Kemal è il primo Presidente. Un anno dopo viene definitivamente deposto l’ultimo califfo, Abdul Mejid II.
Vi sono ormai tutte le condizioni per dare slancio a quella politica di riforme culturali che trasforma radicalmente il cuore dell’antico Impero arabo-ottomano in una nazione laica e occidentalizzata. Atatürk e i militari impongono a tappe forzate la secolarizzazione, il divieto di portare il velo, l’introduzione dell’alfabeto latino al posto di quello arabo, l’adozione del Codice civile svizzero e di quello penale italiano.
Nel 1934 le donne conseguono il diritto di voto attivo e passivo. Chi si oppone è un nemico e trattato come tale. Ma il lato autoritario del Governo di Atatürk è anche evidente nel culto della personalità, nella mancata separazione dei poteri, nel disconoscimento dei diritti delle minoranze, in primis quella curda, e la loro assimilazione forzata come cittadini turchi. Eppure il fatto che la sua Turchia sia stata modernizzatrice e non imperialista, non abbia costituito un sistema concentrazionario e non abbia fatto ricorso alla mobilitazione delle masse evidenziano la distanza di Atatürk da dittatori come Franco, Hitler o Mussolini, verso cui peraltro egli mai nutrì simpatie.
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