Rassegna stampa

«Stand Ue alle fiere mondiali»

Rita Fatiguso

MILANO

La Commissione europea ne prende atto nel corso del primo incontro sul tema del futuro della moda europea organizzato su iniziativa del vicepresidente della Commissione Günther Verheugen: il sistema tessile in buona sostanza ha retto alla competizione asiatica, ma deve unire le forze per affrontare le prossime sfide. Verheugen ne prende atto davanti alle rappresentanze di sindacati, aziende, istituzioni di controllo e regolamentazione, dalle dogane all’anticontraffazione, in un incontro-chiave, al quale fanno da sfondo proprio le manifestazioni della moda milanese, Milano unica ha appena chiuso passando il testimone alle sfilate.

«Bisogna fare sistema, dentro e fuori casa»: il concetto l’ha rimarcato Paolo Zegna, presidente di Smi, Sistema moda Italia, a nome di quel quarto del tessile-moda europeo e del 20% dell’occupazione europea che parlano italiano, e che in Italia vale il 7% del Pil, solo per citare qualche cifra. C’è di più. «I gruppi nazionali di mezza Europa, presenti alle fiere internazionali in giro per il mondo – ha continuato Paolo Zegna – dovrebbero essere presentati tutti in una stessa area dove, pur mantenendo una differenziazione per singola nazione, si spinga, tutti insieme, per valorizzare ancora di più le nostre unicità e differenze».

Un esempio freschissimo? Il marchio Made in Milano presentato ieri (si veda l’articolo a pagina 25) che tiene insieme le fiere del sistema moda che si svolgono sul territorio lombardo. Uniti, si vince. Il concetto di "sistema" infatti è sottolineato e valorizzato anche dai rappresentanti sindacali europei, tra cui Valeria Fedeli, presidente dell’Etuf, la quale ha auspicato soprattutto «in vista del miglioramento della qualità, anche l’obiettivo di una maggiore qualità degli accordi».

Il sistema delle relazioni industriali diventa fondamentale per invertire i trend, come ha rimarcato Michele Tronconi, presidente di Euratex, l’associazione delle industrie tessili europee, facendo riferimento anche all’impegno a livello europeo per raggiungere l’obiettivo della trasparenza nelle etichette di origine. Una battaglia coronata dalla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento Europeo che si sono espressi in favore dell’obbligatorietà del Made in per le merci provenienti dai Paesi extra-Ue, ma che non è finita qui.

Anche la grande distribuzione europea, a quanto pare, che, finora, era sembrata meno sensibile, se non negativa, al provvedimento (da Peak and Cloppenburg in Germania, Harvey Nichols in Gran Bretagna, Zara in Spagna) avrebbero iniziato a collaborare. Qualità e trasparenza, sia nella produzione sia nel commercio. Sembra questo il collante di un’Europa che, come ha ricordato Zegna, «di fatto, il tessile-abbigliamento-italiano si sta riposizionando con successo, anche se non in modo uniforme, sulle fasce di prodotto a maggior valore aggiunto, dove la concorrenza basata sul basso costo del lavoro è meno pressante».

rita.fatiguso@ilsole24ore.com

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