Rassegna stampa

«Più sinergie tra pubblico e privato»

di Giulia Crivelli
«La priorità è crescere all’estero». Emma Bonino, ministro del Commercio internazionale e delle Politiche comunitarie, non ha dubbi: l’Italia ha il know how e le capacità per esportare le eccellenze fieristiche, ottimo strumento per promuovere l’intero sistema produttivo e di servizi del Paese.
Ministro, come è cambiato o come dovrebbe cambiare il sistema fiere in Italia?

Il sistema fieristico rimane un asset fondamentale per l’accesso ai mercati internazionali delle imprese italiane, e in molti casi un supporto indispensabile per superare l’handicap di dimensioni che non consentono lo sviluppo di strategie di marketing fuori dai confini nazionali. Senza dimenticare gli effetti positivi sul territorio: la vivacità economica, culturale e imprenditoriale che caratterizza alcune città italiane trova origine anche nella presenza di poli fieristici di rango internazionale. Però qualche zona d’ombra esiste. La prima è una certa tendenza al cannibalismo tra le nostre fiere, che spesso sovrappongono manifestazioni similari e a volte ripetitive, anziché coordinare calendari e specializzazione settoriale. È una tendenza che crea diseconomie di sistema e anche di utilizzo di fondi pubblici. Un altro fattore problematico mi pare la resistenza al cambiamento, in particolare all’uso di nuove tecnologie e tecniche espositive.

Come si può contrastare l’eccessiva frammentazione?

È importante che il sistema fieristico sia solido, robusto, con obiettivi chiari e, soprattutto, sia una piattaforma effettivamente utile per far conoscere nel mondo le imprese e i prodotti italiani. Il ruolo delle politiche pubbliche, dunque, sia nazionali sia regionali, deve essere quello di sostenere e promuovere la crescita del nostro sistema fieristico: facendo attenzione tuttavia a non alimentare una rincorsa competitiva su base regionale. Occorrono, in primo luogo, regole certe per il riconoscimento della qualità internazionale delle manifestazioni. Su questo ritengo sia necessaria una maggiore sinergia pubblico-privato: il ministero del Commercio internazionale è pronto a fare la sua parte attraverso l’accordo di settore, operativo dal 2004.
Le fiere italiane attirano abbastanza visitatori stranieri?

Una recente ricerca del Cermes-Bocconi ha stabilito che il mercato fieristico italiano è, con circa 7,5 milioni di metri quadri di superfici vendute, quasi 22 milioni di visitatori e un totale di mille manifestazioni il secondo a livello europeo, dopo quello tedesco.

Il panorama internazionale delle fiere è già molto affollato. C’è ancora spazio per nuove fiere in Italia o per le fiere italiane all’estero?

Più che in Italia, mi pare prioritario a questo punto crescere all’estero, internazionalizzare le nostre manifestazioni. Questo è ciò che manca e che si sta iniziando a fare. A titolo di esempio: l’ente Fiera di Parma e di Bari hanno partecipato di recente a una missione ministeriale in Egitto per siglare un accordo di collaborazione con l’omologa del Cairo e hanno stabilito un programma comune per la promozione dell’agroalimentare. Ma c’è spazio in tutti i settori del made in Italy, dalla moda all’arredo, fino alle macchine utensili che tutto il mondo ci invidia. Ecco, questa è la strada del futuro, crescere all’estero con l’identità italiana.

L’Ice e il ministero hanno spesso una presenza istituzionale nelle fiere. La reputa sufficiente o bisognerebbe strutturarla meglio?

Tramite l’Accordo di settore con il sistema fieristico italiano, ora al terzo anno di applicazione, il ministero del Commercio internazionale si è impegnato a sostenere iniziative promozionali all’estero delle fiere italiane, con particolare attenzione all’organizzazione degli eventi, alla stipula di accordi di collaborazione con enti fieristici esteri, alla formazione di manager fieristici e al trasferimento di know-how a Paesi cosiddetti emergenti. Tra i 47 progetti co-finanziati da Ministero e Ice negli ultimi due anni, si contano iniziative rilevanti come, ad esempio, la realizzazione di eventi promozionali congiunti Vinitaly/Cibus in Cina e in Russia. Segno che, laddove c’è qualità di prodotto e di organizzazione, c’è anche la capacità di affrontare i mercati esteri con un elevato grado di successo.

Come è stata finora l’esperienza dei desk anticontraffazione nelle fiere?

È presto per tracciare un bilancio. Di certo sapere che vi è uno sportello a disposizione delle imprese è utile perché il fenomeno contraffazione si può vincere solo con una conoscenza diretta dei meccanismi di tutela giudiziale del paese in cui si pratica la contraffazione. Per questo abbiamo attivato anche 14 desk anti-contraffazione presso le sedi estere dell’Ice, di cui 4 solo in Cina.
Ci sono una manifestazione o un ente fieristico che reputa utilizzabili come benchmark?

Se l’obiettivo è quello di uscire dai confini nazionali e stringere accordi per radicarsi all’estero, l’accordo tra la fiera di Milano e quella di Hannover per organizzare e promuovere una serie di manifestazioni ed eventi in Cina mi pare un modello particolarmente interessante sul piano strategico, anche per favorire la presenza a Milano di un numero crescente di compratori asiatici. Ma non è l’unico.

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