
«Fiera con le carte in regola, ma deve cambiar pelle»
L a Fiera di Vicenza, riferimento mondiale per l’oreficeria e la gioielleria, cambia pelle. «Niente come prima» è il nuovo slogan coniato dal presidente Dino Menarin e dal direttore generale Maurizio Castro, altrettanto consapevoli che il business, però, è quello di sempre.
Castro, perchè un cambio così radicale?
«Perchè non aveva senso stare nella pattuglia dei primi, il nostro obiettivo è di arrivare nel l’arco di 3-5 anni ad avere una leadership assoluta ed inattaccabile. D’altra parte non si può vivacchiare quando si opera, come facciamo noi, in una nicchia. O sei il primo o pericolosamente tendi a scivolare all’indietro. Noi abbiamo il know how e la capacità di essere i numeri uno al mondo ed andiamo a conquistare il nostro spazio».
Partite da tre frequentatissime fiere orafe annuali, ma già da quest’anno cambiate carte in tavola…
«A Vicenza resteranno tre manifestazioni, ma non saranno più una sorta di fotocopia. A gennaio partiamo con First, la prima per offerta merceologica che punta ai gruppi di acquisto, ai grandi buyers internazionali e sarà accompagnata da T-gold, la rassegna dedicata ai macchinari per l’oreficeria. A maggio Charm costituirà il punto di incontro fra questo settore ed il grande mondo del fashion, con una giusta contaminazione all’insegna del made in Italy. A settembre, infine, Choice punta al mercato al dettaglio, alla domanda di base dei consumatori».
Pensate anche di uscire da Vicenza?
«Questa è la seconda novità importante. Promuoveremo tre manifestazioni importanti al l’estero e stiamo ragionando sui tre Paesi che registrano la maggior crescita delle nostre esportazioni, vale a dire Russia, Cina ed Emirati. Ma stabilmente organizzeremo altre due iniziative in Italia. A marzo saremo a Milano con About J, un evento posizionato nel segmento più alto per incontrare il mondo della moda. A novembre, invece, saremo con tutta probabilità a Firenze per un ultimo evento tutto legato all’innovazione e all’avanguardia, ma rigorosamente all’insegna del Made in Italy».
Non temete che si tenti di replicare il modello?
«Difficile pensare che qualcuno seriamente voglia allestire una nuova iniziativa se non ha il know how adatto».
Il vostro cambio di pelle cade in un momento non facile per i distretti orafi italiani che da anni sono in difficoltà per svariati motivi, dalla concorrenza sui costi della manodopera alla incapacità di avere dimensioni tali da affrontare i mercati stranieri. Che ruolo andrete ad assumere nei confronti dei distretti?
«Un ruolo sicuramente di stimolo e di accompagnamento sui mercati. C’è un’eccellenza italiana che non può essere dimenticata o cancellata. Su questo pensiamo che sia doveroso lavorare, occorre far crescere la componente ad alto valore aggiunto nella produzione orafa. Noi stessi vogliamo essere incubatori di nuove esperienze. Il mercato ci dice che non possiamo stare fermi, ma che dobbiamo muoverci ed andare incontro alle opportunità: insieme, in maniera coordinata, riuscendo a coniugare la necessità di innovazione e cambiamento con la conservazione dei valori del Made in Italy».
Puntate tutto sull’altissimo di gamma e sul lusso in un momento in cui il mondo vive una crisi dei consumi…
«Certo, ma lo facciamo a ragion veduta perchè il lusso è l’unico segmento che garantisce una forte crescita, stimata in almeno un 5% l’anno, nei prossimi due decenni. Se qualche Paese vive un problema c’è sempre chi, da un’altra parte, vive il suo boom. Nulla di aristocratico nella nostra scelta, solo una banale ma concreta ragione di business».