
La sfida urbana di CityLife per il dopo-Fiera
Se avesse una macchina del tempo, la userebbe “per visitare Roma imperiale”. Se potesse scegliersi un architetto, vorrebbe lavorare con Santiago Calatrava, per la sua “visione fantastica degli spazi”. Se avesse una bacchetta magica, ridisegnerebbe i percorsi della mobilità urbana di Milano. Ugo Debernardi si presta volentieri al gioco dei se, ma quando parla di CityLife, di cui è presidente, usa cifre e date certe e spiega i suoi progetti concreti. Ogni tanto gli “scappa” la parola sogno perché in fondo dare una seconda vita al vecchio polo fieristico milanese è anche questo. CityLife è la cordata che il 2 luglio 2004 si è aggiudicata – con un’offerta di 523 milioni di euro – la gara internazionale per la riqualificazione del quartiere storico di Fiera Milano (255mila metri quadrati). Insieme alla capocordata Generali Properties, al progetto partecipano Ras, Progestim, Lamaro appalti e gli spagnoli di Lar Desarrollos Residentiales. A Debernardi, ingegnere civile, spetta il ruolo di direttore d’orchestra e tra i suoi orchestrali ci sono anche quattro “primedonne” (gli architetti Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid e Pier Paolo Maggiora): “Coniugare esigenze economiche, finanziarie, architettoniche e ambientali è una grande sfida, ma la stiamo vincendo. Forse perché il progetto ci appassiona tutti, alla fine si riesce a trovare un accordo”. Oltre alle tre torri progettate da Isozaki, Libeskind e Hadid, CityLife ha previsto la costruzione di 1.500 appartamenti.
La fase di “demolizione” (le virgolette sono d’obbligo perché le norme urbanistiche non consentono l’utilizzo della dinamite e i vecchi edifici della fiera saranno “smontati” più che distrutti con un botto) comincerà nel 2006 e la consegna dell’intero progetto è prevista per il 2014. Una consegna “chiavi in mano”, come prevedono le regole del general contractor. Le stesse, per intenderci, che sono state applicate per il Nuovo polo fieristico di Rho-Pero.
Secondo Massimilano Fuksas gli architetti hanno smesso da tempo, purtroppo, di progettare case. É d’accordo?
Sono d’accordo ed è un male. Ma ora le cose stanno cambiando e credo che gli architetti torneranno ad avere la possibilità di dedicarsi all’edilizia residenziale, oltre che a costruire musei, ponti o grandiosi edifici pubblici. Il grande cambiamento avvenne all’inizio degli anni Settanta, quando all’uso “creativo” degli spazi si preferì quello intensivo. Al posto di progetti organici si costruì seguendo aggregati di piante e gli architetti divennero “superflui”. Oggi, per una fascia minoritaria ma comunque importante di popolazione, la qualità abitativa è tornata ad avere un’importanza maggiore della semplice esigenza abitativa. Sono mutati i desideri, le aspettative e quindi anche l’offerta deve cambiare. Gli spazi nelle città però sono molto limitati: occorre reinventare quelli esistenti. Solo gli architetti possono farlo.
Un altro grande architetto italiano, Renzo Piano, dice che le città sono forse l’unica autentica invenzione dell’uomo. Eppure oggi sembrano abbastanza inumane. Che contributo darà CityLife a Milano?
Credo che Piano abbia ragione: l’uomo è l’unica specie animale che ha creato questa particolare forma di aggregazione di edifici e di vita in comune che è la città. Ma lo sviluppo di una città sfugge al controllo degli uomini, in gran parte. Per questo forse oggi non siamo troppo soddisfatti di come sono cresciute, magari sotto i nostri occhi, le città in cui abitiamo. Però credo ci sia una grande consapevolezza, di tutti, che l’impostazione deve cambiare. Una città, ogni singola parte di essa, e quindi anche CityLife, non sarà più un aggregato di edifici, di posti in cui si mangia e dorme, circondati da negozi che soddisfano le nostre necessità primarie. Oggi una città deve offrire servizi nel senso più ampio del termine: luoghi dove passare il tempo libero, dove portare i bambini, luoghi che offrano occasioni di incontro o scambio culturale. E naturalmente deve esserci molto verde. All’interno di CityLife saranno 15mila i metri quadri dedicati ai bambini e verrà costruito un museo del design, che a Milano, incredibilmente, mancava.
Bisogna progettare spazi comuni che migliorino la qualità della vita, in altre parole. E la qualità della vita all’interno delle case?
Quando parlavo di esigenze mutate, mi riferivo anche alla richiesta di qualità in tutti sensi. Nei 1.500 appartamenti che costruiremo avremo grandissima attenzione alla qualità dei materiali, degli infissi, della suddivisione degli spazi. Ci saranno numerose tipologie di appartamenti perché vogliamo che ognuno abbia l’impressione di una soluzione quasi su misura per le sue esigenze. Ma sarà innovativo anche l’approccio alla gestione dei servizi per chi vive a CityLife, in modo da risolvere senza perdite di tempo anche tutti i problemi pratici, che vanno dai parcheggi al riscaldamento o al condizionamento delle case.
Quando fu annunciata la vittoria di CityLife, il sindaco Albertini disse che lo spazio verde del vostro progetto gli sembrava “poco”. Cosa risponde?
In realtà nel frattempo credo che Albertini si sia ricreduto. Forse ha studiato meglio il nostro progetto e si è reso conto dell’enormità dello spazio verde. E comunque, dal luglio 2004 a oggi il progetto si è modificato, in questo senso, e oggi lo spazio riservato al verde è persino aumentato rispetto ai 130mila metri quadri che erano il requisito minimo per partecipare alla gara. E poi, quando si parla di verde, bisogna distinguere: un conto è costruire piani e piani di parcheggi, coprirli con un po’ di terra e piantarci degli alberi. Un conto è fare una vera e propria pianificazione ecologica e dare davvero alle piante un ambiente in cui vivere, persino loro, molto bene. In buon parte dei 130mila metri quadri di CityLife faremo esattamente questo.
Aggiungere verde non vi priva di preziosi metri quadri edificabili?
Certo. E se guardassimo in modo un po’ miope il valore commerciale di ogni metro quadro, forse non penseremmo a creare verde in più. Ma questo fa parte del sogno in cui crediamo. Gli spazi verdi migliorano la qualità della vita, fuori e dentro gli appartamenti. Ed è questo che oggi il mercato chiede. Non sono vantaggi economicamente quantificabili, ma in qualche modo, nel lungo periodo, crediamo si tratti di una scelta vincente.
E se la bolla del mercato immobiliare scoppiasse e il sogno si spezzasse?
Credo sia impossibile. Il confronto che viene fatto tra la situazione di oggi e il 1991 è improprio. Allora i prezzi erano molto alti, ma i tassi di interesse erano a due cifre e l’indebitamento fuori controllo. Oggi i tassi sono bassissimi e soprattutto la domanda non accenna a calare. Forse i prezzi si stabilizzeranno, ma non c’è una bolla e quindi non ci sarà uno scoppio.