
La grande crisi delle fiere mondiali
Un articolo uscito qualche giorno fa su una pubblicazione online statunitense spiegava ai manager dell’It, in un tono a metà strada tra l’ironico e il sarcastico, l’essenza della Festa del Ringraziamento. ”
E’ tacchino, baby “, citava il titolo. Per poi addenstrarsi in una serie di spiegazioni molto più dettagliate a uso e consumo di una schiera di persone che per la prima volta, dopo anni, passavano finalmente la “grande festa” in famiglia. Già, perchè questa settimana per anni è stata quella consacrata a un altro rito. Quello del
Comdex Fall, manifestazione cancellata pochi mesi fa, in attesa di un ritorno agli antichi fasti previsto per il prossimo anno, o forse mai. Schiacciato tra eventi verticali e specializzati e l’emergente Ces, che si svolge giusto all’inizio dell’anno, il Comdex ha gettato la spugna. Ma non è il solo. Negli ultimi due anni un conto sicuramente approssimato per difetto vede una trentina di manifestazioni fieristiche internazionali cancellate, sospese o, quando va davvero bene, trasferite in altra sede. E non sono solo le diverse declinazioni del Comdex (Asia, Canada, Quebec, Australia, Cina) ad aver sofferto, ma anche, giusto per restare nel 2004, il Mobile Communication Expo di Helsinki, il Telecom + Satellite di Seoul, il CeBit America, il Softel di Santiago e addirittura l’Itu Telecom di Ginevra, per il quale si parla di un ritorno nel 2006, non a caso però a Hong Kong. Una crisi strutturale, senza dubbio, che mette in risalto la necessità di ripensare davvero le fiere, in un’ottica diversa. Perchè, sempre calate in quell’ibrido tra dovere e piacere, tornino a essere investimenti, per chi espone e per chi visita. E magari si ricominci pure a parlare di Roi.