
La forza dei socialisti senza garofano
L’ultimo della scuderia è il senatore Gianpiero Cantoni, fresco presidente di Fondazione fiera Milano. L’ex numero uno di Bnl, berlusconiano della prima ora dopo un passato col Garofano al petto, guiderà per tre anni la holding di Largo Domodossola, crocevia strategico tra politica, finanza e appalti ai tempi dell’Expo 2015.
Arriva subito dopo Gianni De Michelis che da ottobre fa il consulente a Renato Brunetta sulla riforma della Pa. E dopo il «rieccolo» Piero Borghini, l’ultimo sindaco socialista ambrosiano pre-Tangentopoli, neo-consigliere di una pericolante Letizia Moratti per le relazioni politiche, dopo aver fatto il city manager e le inchieste della Procura sulle cosiddette consulenze d’oro.
Anche in Provincia, sempre a Milano, una città dove per molti Mani Pulite continua ad incarnare la liberazione contro la «città di Craxi» e contro gli imprenditori (Ligresti e Berlusconi), i grandi medici (Veronesi) e gli stilisti (Trussardi) amici del «Cinghialone», c’è appena stata un’infornata di nomine ex Psi di lusso. Paolo Pillitteri alla Fondazione cineteca italiana e Carlo Tognoli all’Isap, l’Istituto per la Scienza dell’amministrazione, dopo aver presieduto in quota Formigoni la fondazione Policlinico. Ma qualche telefonata per l’ex “compagno” Giulio Tremonti la fa ancora il vecchio Rino Formica, già ministro di Finanze e Tesoro a cavallo dei Settanta/Ottanta craxiani, inarrivabile coniatore di iperboli, dai «nani e ballerine» alla «politica che è sangue e merda» fino al «convento che è povero ma i monaci sono ricchi», ahimè, intemerata profetica contro alcuni colleghi di partito che di lì a poco sarebbero finiti impigliati in Tangentopoli…
Così mentre il Garofano si è appassito da anni lasciando senza casa i suoi numerosi emuli ed eredi; mentre la storia manderà all’archivio il Berlusconi “ter” come il primo governo della Repubblica con tutti gli ex Dc all’opposizione e nessun ministro cattolico; e mentre la politica alla vigilia del decennale della morte torna a dividersi sull’eredità del caro leader Bettino Craxi – esule o latitante, Sigonella o le monetine davanti all’hotel Raphaël -, in realtà i socialisti post-diaspora sono vivi e vegeti e lottano insieme a noi. Mai così influenti: nei piani alti del Pdl e negli snodi caldi del capitalismo italiano (mica solo nelle consulenze). Forse nemmeno ai tempi del lunghissimo governo Craxi 1983-87, il più longevo della storia repubblicana prima che un altro ex socialista, Silvio Berlusconi, gli fregasse il record. Socialisti senza più partito, certo. Sfusi come sigarette, come i Dc dopo la fine della Balena bianca, ma potenti, potenza del marchio.
Tralasciando Berlusconi e i tantissimi peones di ogni risma passati in massa al Pdl dopo Mani pulite, al governo troviamo in cima di tutti Tremonti, ex Reviglio boy a 24 carati, insieme a Maurizio Sacconi; Brunetta con l’ex lombardiano Fabrizio Cicchitto, uno che Craxi lo attaccava da sinistra. Passando per Franco Frattini, anche lui ex Psi e consigliere giuridico di Martelli vice premier nell’Andreotti VI. Mentre Francesco Colucci e Romano Comincioli sono i potenti questori rispettivamente di Camera e Senato.
Oggi sono loro il nerbo forte del berlusconismo egemone e di governo. È farina loro una certa idea di giustizia e di Costituzione politicizzata che va per la maggiore in casa Pdl; è farina loro la campagna sferzante contro certa borghesia elitario-parassitaria «de sinistra» che rieccheggia da vicino il Craxi d’antan anti poteri forti e anti Intellos («dei miei stivali…»). Fino alla riedizione tremontiana di “economia sociale di mercato” come argine al mercatismo anglosassone.
Se passiamo dalla politica ai salotti economici la pattuglia ex socialista non è meno fitta, superando non di rado inchieste, condanne e prescrizioni. Dal già citato Cantoni ad Alberto Meomartini, altro Reviglio boy oggi presidente di Snam Rete gas e della potente Assolombarda; dall’evergreen Salvatore Ligresti, con interessi che corrono dal mattone, alle assicurazioni alla finanza che conta a Massimo Pini, ex consigliere Rai e Iri, dove per conto di Bettino marcava stretto Romano Prodi, attualmente ai vertici di Fondiaria Sai e uomo di Ligresti dentro al patto Rcs; dal re della sanità privata lombarda Giuseppe Rotelli, imprenditore con amicizie buone in Mediobanca e primo azionista di via Solferino, di cui in primavera potrebbe diventare addirittura presidente, a Franco Bassanini in Cassa depositi e prestiti. E ancora: dal grande capo di Eni Paolo Scaroni, a suo tempo simpatizzante del Garofano, giù giù fino a Mario Artali, vice presidente di Bpm.
Tutti di nuovo in campo alla grande, insomma, a dieci anni dalla morte del patriarca e al netto delle vecchie etichette da Prima Repubbblica: militante, ministro, parlamentare, dirigente di rango o della minoranza interna, peones, tecnico d’area, manager simpatizzante…
Ma soprattutto al riparo dal furore toponomastico di questi giorni, da un reducismo ex Psi distruttivo e sterile insieme, quasi cannibale, fatto di amicizie rovinate dal rancore, infarti e by pass, inabissamenti e repentini cambi di campo, e da una storia recente che continua a rimanere per molti versi negletta…
© RIPRODUZIONE RISERVATA