Rassegna stampa

La Fiera della stabilità

di Stefano Salis
A che cosa serve un libro? La domanda è stata rivolta a Umberto Eco da una giornalista tempo fa. E, con questa domanda, il celebre semiologo ha iniziato la sua lectio magistralis nel giorno (anzi, nella notte) di inaugurazione della Fiera di Torino. Risposta, semplice, secondo Eco e domanda idiota: «Un libro serve a leggere».
E già. Sottraendo tutto, la risposta non può che essere questa. Allora ci ha riprovato ieri sera Corrado Augias, all’inizio imbarazzato per un inconveniente tecnico poi sempre più a suo agio, in un’altra brillantissima e applauditissima lectio magistralis: a cosa serve leggere? Risposta molto meno semplice e certamente non riassumibile in poche parole. «A emozionarsi, a trasmettere dati e nozioni, a trasmettere memoria, a versare lacrime o a ridere…». E molto altro. Leggere, forse, serve a essere più umani.
Allo stesso modo – e senza fare una lectio magistralis (a proposito: che male c’è a chiamarle «conferenze», «incontri» o, come ha detto Augias, «chiacchierata con un po’ di buon senso»?) si può tentare di riflettere su una domanda non meno sottile: a che cosa serve la Fiera di Torino?
La manifestazione ha raggiunto le venti edizioni. Tutto sembra andare per il verso giusto. Di sorprese ce ne sono ormai poche. Ernesto Ferrero, il direttore editoriale del Lingotto, con la sua elegante e imitata rosa di carta di Allemandi, non può che essere più che soddisfatto. Ha ragione. C’è poco da discutere, in effetti: aumentano gli spazi (ben 51.000 metri quadrati, 6.000 in più rispetto alla scorsa edizione), a conti fatti (vedremo lunedì) ci saranno stati più partecipanti (e l’anno scorso furono un esercito di 300mila persone!), gli incontri e gli "eventi", in quattro giorni, sono circa 1.000, i relatori coinvolti a vario titolo 2000, ci sono ben 1.414 editori, con una crescita rispetto allo scorso anno, uno spazio dedicato agli editori-pulcino, uno agli scambi commerciali e uno ai fumetti. Ma, soprattutto, c”enorme quantità di titoli a disposizione dei lettori.
Ecco: qui si può azzardare una prima risposta. La Fiera del Libro serve da enorme libreria. La più grande d’Italia, per quattro giorni, nella quale gironzolare, vedere le novità, ripescare i titoli di catalogo che nelle librerie "fuori" dalla Fiera faticano a trovare posto (soprattutto per gli editori più piccoli, questa del catalogo sembra essere una risorsa). A girare tra gli stand del Lingotto il coro raticamente unanime. Sellerio, Donzelli, Laterza, Borighieri, Bompiani, Mondadori, Feltrinelli, Einaudi (che organizza sempre la festa fuori Fiera più bella…) e così via, tutti registrano un aumento delle vendite. In più i lettori non chiedono nemmeno più lo sconto e pagano per entrare: un paradosso abbastanza inspiegabile in un Paese dove i libri stentano a ritagliarsi uno spazio stabile nella vita delle persone.
Anche per questo, nell’edizione dedicata ai «Confini», gli editori stanno molto bene attenti a demarcare il proprio territorio di conquista. Gli stand sono generalmente più curati (anche Feltrinelli ha abbandonato quella specie di "pollaio verde" che la accompagnava da anni per rifarsi un look, una candida immagine bianca), molto accattivanti, e, perciò, frequentatissimi. Conta sempre di più la posizione. E la rendita che essa garantisce. I piccoli editori, in particolare, vorrebbero spostarsi nelle zone di maggior passaggio, proprio come accade nelle librerie di città: essere in centro favorisce le vendite. «Ma n’impresa» confida qualcuno. «Ci proviamo da anni, ma chi ha uno spazio ben visibile e frequentato se lo tiene stretto».
In questo grande bazar del libro fondamentale, dunque, è vendere, proporre al meglio i propri libri, dal momento che, per una volta all’anno, si ha a che fare, visibilmente e concretamente, con coloro per i quali si lavora: i lettori. E per loro la festa è, anche, vedere da vicino i loro autori preferiti. Anche se assomigliano a fenomeni da spettacolo. Che male c’è? Se l’editore Toilet davanti al compassato Adelphi, espone un bel water, non punta sulla qualità dei suoi libri ma solo su uno choc (?) per l’occhio del visitatore; d’altra parte il meccanismo inverso è comune. L’accoglienza da vera star hollywoodiana riservata al cardinale Ruini per la sua lectio magistralis (la sua sì: «non sarò breve» annuncia in partenza e giù con 17 pagine 17 di teologia…) non è dovuta, supponiamo, all’ammirazione per la sua dottrina. La Fiera e il mondo del libro non hanno più paura dello spettacolo. A volte ne sono contaminati e non è detto che sia un male. Concerti, canzoni, frastuono: alla Fiera si va forse proprio per vedere i libri sottratti al loro abituale contesto.
Eppure gli incontri non sono banali. Le ragazzine che assediano la sala dove "presenzierà" Federico Moccia si sorbiscono Anna Oliverio Ferraris senza protestare più di tanto, il duetto tra Marino Sinibaldi e il prossimo vincitore dello Strega (radio Fiera conferma…) Niccolò Ammaniti non delude, il ricordo di Kapuscinsky emoziona, come, per i nostalgici, l’incontro con la figlia del Che, i dibattiti sul comunismo, sulla bioetica, sulla laicità (strepitoso quello con il "Gruppo ateo Piemonte" autodefinizione per Ferraris, Odifreddi e Rusconi), sebbene nel chiasso, risultano più che istruttivi. I poeti e narratori di «Lingua madre», venuto da tutto il mondo, nella baraonda generale, si difendono. Il re dei bestseller, il più venduto della Fiera, Wilbur Smith, sa bene, poi, a cosa serve la lettura. E racconta, in modo gustoso, come ha abbordato la sua futura moglie. Inseguendola in una libreria e mostrandogli un libro con la sua immagine nella quarta di copertina. «Così può imparare bene l’inglese – le dice -. Lasci stare il Grisham che ha preso da quello scaffale…». La Fiera ci ricorda, ogni anno, che i lettori sono una realtà preziosa. Che va tutelata e incentivata. Ci sarebbe quasi quasi da proporre un festival tutto dedicato a loro e alla lettura e fatto da loro. Non fosse che ci hanno già pensato. Lo faranno a Firenze, edizione di prova tra il 25 maggio e il 3 giugno. Nel 2008 si parte. Lettori, fatevi trovare pronti.

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