Rassegna stampa

L’arcipelago dei creativi

Artissima 15 nasce con mille premesse forti: la notte di sabato passa tra gallerie che tirano tardi, musica elettronica al Lingotto e luminarie d’artista; in città espongono tra l’altro Matthew Barney (Fondazione Merz) ed Enzo Mari (Gam), ma nasce anche un Festival della Filosofia dell’arte contemporanea espressamente dedicato alla teoria; infine Torino ospita una Triennale curata da quello stesso Daniel Birnbaum che sta per curare la Biennale di Venezia. Eppure su questa voga dell’arte contemporanea, in cui è cresciuto Andrea Bellini, direttore della fiera torinese, ci sono anche molte ombre. Oggi non si può infatti prescindere dal problema della recessione: il dubbio è se succederà come nel 1987, quando passarono almeno due anni prima che il crollo di Wall Street si facesse sentire nell’arte o se prezzi e volume di vendite si stiano già contraendo. Le aste appena svoltesi a Londra mettono qualche paura. «Le fiere che hanno costruito parte del loro successo sul denaro degli speculatori di borsa risentiranno maggiormente della crisi finanziaria. Non è il caso di Artissima: la fiera torinese è sostenuta da una serie di collezionisti – tra cui molti italiani – che magari non investono cifre enormi sull’arte ma possono farlo con costanza: si tratta di professionisti o anche di piccoli e medi imprenditori. Questo gruppo di collezionisti, veri conoscitori d’arte contemporanea, fanno sì che Artissima si trovi in un’area piuttosto protetta rispetto alla tempesta finanziaria. Qui si possono fare ottimi affari investendo cifre molto contenute» spiega il direttore. Con la direzione di Bellini la mostra mercato torinese ha assunto una fisionomia specifica: «Artissima – racconta il direttore venuto da New York –, oggi si concentra esclusivamente sull’arte emergente e sulla perlustrazione del nuovo. Ma è anche molto altro: una finestra sulla contemporaneità, al centro di un grande festival della cultura contemporanea, che la rende un evento piuttosto speciale per gli appassionati d’arte». Attorno alla Fiera Bellini ha organizzato conferenze, mostre, concerti e un’attività didattica per conto della Regione Piemonte.
Arrivato a Torino da un percorso di scrittore d’arte e curatore, Bellini rappresenta un ottimo esempio dell’integrazione che negli ultimi anni ha caratterizzato musei e realtà commerciali. «C’è una sostanziale continuità tra la mia attività di critico e curatore e quella di direttore di fiera. Concepisco Artissima come un’avventura intellettuale, e credo che questo atteggiamento sia alla base del successo della manifestazione. Mai ho pensato di dover abbandonare qualcosa del mio giudizio critico o dell’aspetto culturale del mio lavoro. Al contrario nella gestione di questo evento ho cercato di attingere a tutte le mie competenze e a tutta la mia creatività: se non avessi fatto questo non avrei potuto trasformare la fiera in un luogo di scoperta e sorpresa per il pubblico».
Eventi complessi, dedicati al mondo del collezionismo, ma non solo: le fiere d’arte negli ultimi anni sono diventate molto più che occasioni esclusivamente commerciali, così come il pubblico che le frequenta è costituito in gran parte anche da artisti, critici d’arte, curatori, direttori di musei, giornalisti e semplici appassionati. «Una fiera di alto livello esprime infatti una capacità informativa – rispetto alla realtà artistica contemporanea – senza uguali nel mondo dell’arte» prosegue Bellini. «A Torino, ad esempio, noi ospitiamo oltre 130 galleristi che provengono da diversi continenti: si tratta di un centinaio di grandi esperti d’arte che perlustrano il mondo contemporaneo alla ricerca dei migliori talenti. Visitando Artissima il pubblico entra in contatto con l’arte nel suo farsi, con un processo culturale in atto». Una fiera vicina al Museo del Catello di Rivoli, alla Fondazione Merz, alla GAM e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: «Le istituzioni torinesi hanno fatto molto per la crescita della fiera – continua Bellini – e la sensazione è che le varie realtà culturali comincino a fare sistema. Qualcosa che lascia ben sperare per la crescita della città e della regione».
Una crescita, quella dell’arte contemporanea e delle fiere ad essa dedicate, che riguarda anche l’Asia, realtà che Bellini conosce direttamente: «Il mondo globalizzato è rapido e senza distanze, ma essere presenti di persona quando le cose accadono offre sempre un osservatorio privilegiato. Ho vissuto qualche mese a Shanghai e Pechino: la Cina è un paese complesso in cui l’arte contemporanea è in pieno sviluppo. Il mercato è molto vivace ma anche molto autoreferenziale: i collezionisti cinesi comprano quasi esclusivamente arte cinese e le gallerie occidentali fanno molta fatica a fare breccia. Tuttavia c’è da aspettarsi una crescita costante ed esponenziale del sistema dell’arte contemporanea nel sud est asiatico e presto anche una maggiore apertura verso l’arte occidentale».
Per quanto riguarda la scarsa visibilità degli artisti italiani, di cui a Frieze si è avuta un’ulteriore conferma, Bellini pensa che: «Il problema è alla base: il nostro paese dovrebbe ristrutturare le Accademie di Belle Arti, i cui modelli d’insegnamento sono superati e spesso squalificati, e poi sviluppare il sistema delle residenze degli artisti italiani al l’estero. Dopo di che gli artisti bravi potranno andare avanti da soli, secondo le normali logiche del sistema dell’arte e del mercato, e quelli non bravi potranno magari cambiare mestiere. Quest’anno Artissima ha dedicato uno spazio in Fiera a sette artisti italiani non ancora rappresentati da gallerie, selezionati da una giuria internazionale tra 1.481 partecipanti al concorso “Italian Wave”. Se si tratta di artisti di talento lo decideranno il pubblico e i professionisti. A quattro di questi artisti offriremo inoltre la possibilità di partecipare ad una residenza-studio presso la Fondazione Spinola Banna per l’arte».
In controtendenza con curatori italiani come Germano Celant, Francesco Bonami, Massimiliano Gioni, Andrea Bellini è tornato in Italia dopo diversi anni trascorsi a New York. Un passo che potrebbe sembrare arrischiato ma che Bellini non rimpiange: «L’esperienza newyorchese è stata determinante per me – conclude Bellini – lavoro ancora a New York come curatorial advisor del PS1-MoMa, per cui non ho tagliato i ponti con la città. Ma credo sia fondamentale poter guardare il sistema dell’arte da diverse prospettive, e quindi fare il direttore di una Fiera rappresenta per me un’esperienza impagabile. L’ibridazione dei ruoli è uno dei fenomeni più significativi nel sistema dell’arte negli ultimi anni». Una frase detta pensando forse al suo mentore, Samuel Keller, colui che l’ha indicato all’inizio per questo incarico: ex direttore di Art Basel, ora dirige la Fondation Bayeler. Dalla fiera al museo per Keller, dalla scrittura al managment per Bellini. E ora, forse, si dice, anche per lui una puntata a Rivoli come prossimo direttore.

Newsletter