Rassegna stampa

Italia punita sugli aiuti per fiere all’estero

L’Italia è colpevole di non aver adottato, entro i termini stabiliti, tutti i provvedimenti necessari per recuperare integralmente gli incentivi fiscali diretti a favore di società partecipanti ad esposizioni all’estero. Questi aiuti erano stati dichiarati illegittimi dalla Commissione Ue nel 2004 (decisione 2005/919/Ce), ma nonostante gli impegni assunti da Roma, non sono stati recuperati. È quanto ha sancito la Corte di Giustizia della Ue con la sentenza depositata ieri nella causa C-305/09.
Si tratta degli incentivi disposti a favore delle società per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero con il decreto legge n. 269/2003 (convertito in legge 326/03). In sostanza, si consentiva alle imprese italiane, in attività al 2 ottobre 2003, di dedurre dall’imponibile l’importo delle spese sostenute.
Con la decisione 2005/919, la Commissione, dopo aver riconosciuto l’incompatibilità degli aiuti, ha stabilito che l’Italia era tenuta a recuperare l’imposta dovuta al più tardi alla fine del primo esercizio fiscale successivo alla data di notifica della decisione.
Era stata così adottata la legge n. 29/2006 in base alla quale il regime agevolativo veniva interrotto e venivano fissate modalità per il recupero degli aiuti già illegittimamente fruiti.
A fine 2007, però, la Commissione ha accertato che il recupero effettuato dalle autorità italiane corrispondeva a meno del 50% degli aiuti versati. Ha quindi deciso di agire dinanzi alla Corte di giustizia. La Corte ha ribadito che lo Stato membro destinatario di una decisione di recupero di aiuti illegittimi è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l’esecuzione. Nella causa non è contestato che, diversi anni dopo la notifica all’Italia della decisione 2005/919 e dopo la scadenza di tutti i termini fissati da quest’ultima, una parte considerevole degli aiuti illegittimi non è stata ancora recuperata (circa il 90% del capitale degli aiuti illegittimi è stato recuperato ad oggi).
Il fatto è che un recupero «tardivo, successivo ai termini stabiliti, non può soddisfare i requisiti del Trattato».
Secondo costante giurisprudenza poi, il solo mezzo di difesa che uno Stato può avanzare è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione. Questa non ricorre quando lo Stato si limita a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese.
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