
«Intese bilaterali per promuovere l’export di armi»
BRESCIA
Le lunghe code formatesi già di prima mattina davanti ai cancelli della Fiera di Brescia tradiscono l’umore incerto di un comparto, quello delle armi leggere, intrappolato fra due fuochi. Da un lato la zavorra di una regolamentazione statale troppo rigida per permettere agli operatori di competere sui nuovi mercati emergenti. Dall0altro la sopravalutazione dell’euro nei confronti del dollaro che, dati i forti interessi nel mercato Usa, sta riducendo al lumicino i margini operativi.
La giornata d’inaugurazione della trentesima edizione di Exa, la fiera internazionale delle armi sportive, da caccia e da difesa, è servita soprattutto a esprimere i desiderata di una fetta non certo residuale del manifatturiero italiano: 4.500 dipendenti diretti e un fatturato che quest’anno ha sfiorato i 350 milioni di euro fra munizioni, pistole, fucili sportivi e da caccia.
Durante l’inaugurazione, a fianco della politica locale anche il ministro Giancarlo Galan, grande appassionato di caccia, e Aldo Bonomi, vicepresidente di Confindustria con delega alle politiche territoriali e ai distretti industriali, presente in fiera per discutere della possibile costituzione di un contratto di rete fra i player bresciani. «Parliamo di un settore strategico per l’internazionalizzazione dell’impresa italiana, che basa la sua forza su una grande vocazione all’esportazione – ha spiegato Bonomi -. Serve però più attenzione da parte delle istituzioni per deburocratizzare i canali di esportazione e raggiungere accordi bilaterali con quei paesi come Brasile e Russia che nascondono grandi potenzialità ma per i quali i nostri prodotti scontano problemi di concorrenzialità a causa degli alti dazi in entrata».
Ma a pesare sul settore, come confermato dal presidente di Confindustria Brescia, Giancarlo Dallera, c’è anche un portato pregiudiziale. «Vedo una fiera in salute e un settore sempre vivo, e questo nonostante venti referendum regionali e tre referendum nazionali. Nessun settore è stato vittima di turbolenze ideologiche come l’armiero».
Anche se i dati del primo trimestre fanno registrare una lieve flessione (-2%) rispetto al 2010, fra gli stand, l’aria che tirava ieri era comunque di moderata fiducia per il prossimo futuro. «Certo – sottolinea Nicola Perrotti, presidente dell’Associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni – con la situazione del cambio fra euro e dollaro perdiamo di partenza il 30% dei margini, dato che produciamo in euro ma commercializziamo in dollari, e gli Usa rappresentano il 45% del nostro export». «A peggiorare la situazione – aggiungono da Fiocchi, storico produttore lecchese di munizioni – l’aumento delle materie prime, ottone in primis». Difficile fare margini. Soprattutto per i più piccoli. Un discorso che sfiora appena il gruppo Beretta che, con i suoi 426 milioni di euro di fatturato (+7% sul 2009, di cui solo il 10% realizzato in Italia) e un utile che nel 2010 ha sfiorato i 23 milioni, ha raggiunto ormai le dimensioni di una vera e propria multinazionale tascabile. «Grazie a un costante sforzo di internazionalizzazione e di diversificazione, siamo ormai presenti in tutto il mondo – spiega Franco Gussalli Beretta, a.d. di Beretta Armi -. Noi la crisi la viviamo come un’opportunità, investendo in innovazione di processo e di prodotto». Proiettati all’estero, tuttavia in Beretta si pensa ancora all’Italia. «Siamo al lavoro per rendere lo stabilimento di Gardone Val Trompia il più moderno del mondo».
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