Rassegna stampa

Il sistema al test della recessione

La crisi economica ha fatto registrare nel 2008 qualche difficoltà al sistema fieristico italiano, che però sembra aver sostanzialmente mantenuto i livelli del 2007.
Se per un’analisi compiuta occorrerà attendere i consuntivi degli organizzatori, le prime stime dell’Osservatorio fiere del Cermes (il Centro di ricerca sui mercati e sui settori industriali dell’Università Bocconi) rilevano che le fiere sinora più colpite dalla crisi sono quelle a carattere internazionale e cadenza annuale. I dati 2008 (si vedano i grafici in pagina) relativi a un campione di 67 manifestazioni, rappresentative del 40% del mercato, mostrano una flessione delle aree locate pari al 2,4 per cento. In calo anche il numero degli espositori diretti totali (-3,9%), più forte di quello degli esteri (-3,1%); anche i visitatori totali sono diminuiti (-3,9%), ma – soprattutto per la buona performance del Salone del mobile di Milano – quelli dall’estero sono aumentati del 12 per cento. A controbilanciare i segnali negativi – oltre all’effetto positivo riservato agli anni pari dalle manifestazioni a carattere pluriennale – dovrebbe intervenire il discreto andamento delle fiere di interesse nazionale e regionale: su un campione di 91 eventi, rappresentativi del 22% delle superfici affittate per questa tipologia, le aree locate sono aumentate dell’8,6% e i visitatori dell’1,6%, sebbene si sia registrata una maggiore selezione degli espositori diretti (in calo dell’1,2 per cento). Per quanto riguarda le manifestazioni internazionali a cadenza annuale, inoltre, si evidenzia un andamento differenziato per gli eventi destinati esclusivamente agli operatori (business) rispetto a quelli misti o rivolti solo al pubblico (consumer).
Per il 2009, è difficile valutare l’impatto reale della crisi sul sistema fieristico italiano. Stando a una ricerca condotta dal l’Associazione esposizioni e fiere italiane (Aefi), il 30% degli operatori dei quartieri fieristici è convinto che la recessione danneggerà principalmente le fiere a carattere business-to-business, mentre il 28% si aspetta un impatto forte su tutte le tipologie di eventi nel corso dei prossimi due anni.
Raffaele Cercola, presidente di Aefi, ipotizza che «la crisi colpirà soprattutto le fiere internazionali, con un calo che potrebbe raggiungere anche il 20% in termini di fatturato medio». Più contenuti gli effetti sulle fiere “business”, che potrebbero comunque subire un calo del 10% dei ricavi, mentre gli eventi rivolti al pubblico «dovrebbero uscire indenni dalle difficoltà grazie a una buona tenuta dei visitatori, delle superfici locate e dei consumi». Quel che è certo, sostiene il presidente, è che l’anno a venire segnerà un’accelerazione dei cambiamenti già in corso: «Assisteremo a una globalizzazione degli operatori, a una riduzione del ciclo di vita delle fiere e a un aumento del peso degli eventi alternativi, come le presentazioni virtuali dei prodotti».
Secondo Carlo Guglielmi, presidente del Cosmit, l’ente fieristico milanese che nel 1961 ha dato vita al Salone internazionale del mobile, «complessivamente, le fiere realmente importanti sono in grado di far fronte alla crisi, perché le defezioni sono compensate da liste d’attesa anche molto lunghe».
Come rispondere alla minaccia della recessione?
Secondo Cercola, «non occorrono contromisure rivoluzionarie, ma è sufficiente pensare a strategie innovative, già adottate in altri Paesi europei, come una maggiore collaborazione tra organizzatori e quartieri fieristici per ottimizzare le risorse e condividere i rischi». Anche il Governo può fare la sua parte: «La deregulation – dichiara il presidente Aefi – ha fatto molti danni. Bisogna tornare a una legge quadro nazionale di settore, accompagnandola con la creazione di un’authority che valuti gli eventi, gestisca i finanziamenti e assicuri la coerenza del calendario. Per combattere la crisi, occorrono anche le sovvenzioni pubbliche: le fiere dovrebbero essere incluse nel pacchetto di aiuti per le imprese».
Guglielmi, dal canto suo, denuncia «i difetti congeniti del sistema fieristico nazionale, legati alla gestione politica degli eventi». Il presidente del Cosmit si dice convinto che ci siano «troppi poli espositivi non necessari, che comportano costi eccessivi e una dispersione delle risorse disponibili». Le piccole fiere locali, provinciali e comunali, avrebbero dunque fatto il loro tempo: «Meglio avere un minor numero di eventi, ma più grandi e più forti. Solo così potremo promuovere realmente quel collegamento tra industria, commercio e turismo cui si fa riferimento quando si parla di “sistema Paese”. Le fiere devono essere in grado di coinvolgere ciascuno di questi mondi e divenire delle vere e proprie manifestazioni culturali di grande richiamo».
Alle considerazioni di Guglielmi fanno eco quelle di Manlio Armellini, amministratore delegato di Cosmit: «La chiave di riuscita, nel lungo periodo, consiste nel guardare al di là dell’Europa, investire per conoscere i nuovi mercati e organizzare le fiere in quest’ottica». La crisi, secondo Armellini, si combatte anche «facendo affidamento sulla qualità del made in Italy e sulla capacità di innovare i modelli produttivi, a patto però che ci siano investimenti e sforzi adeguati». I quartieri fieristici, conclude, «devono offrire strutture ricettive adeguate agli eventi che si trovano a ospitare».

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