
Il Rinascimento del commercio
di Franco Cardini
Ricordate l’Inno di Mameli, che oggi sembra inopinatamente godere di rinnovata popolarità? Certo, la musica non è bellissima: non tutti possono avere la fortuna del Sacro Romano Impero, che ha passato alla Germania le mirabili note di Haydn; o della nostra Europa unita, che stenta a decollare ma si ammanta della IX di Beethoven; e nemmeno del vecchio regno di Napoli, che oscillava beato lui tra Paisiello e Cimarosa. Ma il punto debole sono soprattutto le parole: bruttine, e anche un pochino bugiarde. «Da secoli siamo – calpesti e derisi…». Non era vero per nulla. L’Italia non sarà stata una "nazione" come lo erano Francia e Inghilterra, molte sue parti saranno state anche contese tra varie case regnanti d’Europa. Ma restava pur sempre il Paese delle arti e della storia, la terra «dove fioriscono i limoni», il luogo privilegiato delle arti e del Bel Canto, il centro della potente Chiesa cattolica, la contrada l’idioma della quale – per quanto non ancor codificato – stava alla base della "lingua franca" mediterranea intesa in tutti i porti da Casablanca a Trebisonda e ad Alessandria. Se Spagna, Francia e Inghilterra si contendevano il dominio dei mari e delle terre del mondo, l’Italia trionfava sugli spiriti, sui sogni e sulle fantasie. Si parlava italiano dai fondaci fino alle corti: ne sapeva qualcosa Mozart, che pure l’italiano lo conosceva benino, ma che i dirigenti del Teatro Imperiale di Vienna angariavano quando cercava di proporre un lavoro su libretto in tedesco.
Questo nostro singolare modo di essere una Grande potenza europea, che oggi non viene valorizzato nemmeno nella scuola, riposava su un intenso e consolidato fascino che generazioni di intelletti impegnati nel loro Grand Tour avevano valorizzato e che alla fine Michelet da una parte, Burckhardt dall’altro, riuscirono a sintetizzare in una parola magica: Renaissance, «Rinascimento». Già Fernand Braudel aveva notato la singolare miopìa degli storici – non solo di quegli italiani – che avevano a lungo ritratto un’Italia "intorpidita" passando sotto silenzio o quasi «la straordinaria e prolungata vitalità degli stati italiani». Fernand Braudel auspicava una futura «grande inchiesta collettiva» che «potesse giungere a scrivere una storia della diffusione del patrimonio ideale e dei beni materiali prodotti dall’Italia durante il Rinascimento e da essa trasmessi al resto d’Europa». Queste cose venivano ricordate, nel 2005, da Giovanni Luigi Fontana e Luca Molà nella Prefazione a una grande opera collettiva che davvero sembra rispondere all’auspicio braudeliano. Il Rinascimento italiano e l’Europa, opera in dodici volumi edita sotto il patrocinio della Fondazione Cassamarca, è ormai arrivata al quarto, Commercio e cultura mercantile, dopo i primi tre: Storia e storiografia, Cultura ed educazione, Produzione e tecniche.
E bisogna dire che finalmente si può davvero apprezzare il carattere innovativo e, sul serio, europeo di questo enorme standard work diretto, fra gli altri, da Philippe Braunstein, Franco Franceschi, Allen Grieco, Guido Guerzoni, Michael Mallett e Reinhold C. Mueller. In effetti, almeno due dei primi tre volumi, pur nel taglio rigoroso e aggiornato, si mantenevano prudentemente in un solco abbastanza tradizionale, avviando l’ampio assunto dell’opera con una partenza che trattava di storia, di storiografia e di cultura. Insomma, un Rinascimento prevalentemente "umanistico". Ma già col terzo, la ferma guida di Philippe Braustein e di Luca Molà ci conduceva invece, arcibraudelianamente, a privilegiare la produzioni e le tecniche, ancor cenerentole nella ricerca e nella considerazione storica diffusa.
Ma la vera rivelazione è il quarto volume, il cui carattere innovativo conferisce davvero un senso all’intera opera. In una prospettiva di «lungo Rinascimento», non quattro-cinquecentesca bensì tre-seicentesca, e non solo italoeuropea ma, com’è giusto, euromediterranea (il che vuol dire eurasiafricana, senza trascurare – al contrario – il Nuovo Mondo), Stephan R. Epstein c’illustra l’economia italiana nel quadro internazionale, Maria Luisa Pesante c’introduce al «problema-laicità» nel pensiero economico, e infine un gruppo di specialisti di prim’ordine, ci presentano i protagonisti: gli uomini d’affari, le merci, i vettori, le rotte, le monete, i meccanismi del credito e del consumo, la forza della tradizione e l’intensità dell’innovazione, la pratica mercantile in ordine all’«arte di vivere». E siamo davvero dinanzi a un’italianità poliforme e policentrica, che innerva quattro secoli di storia. Ed ecco la "cerniera" tra medioevo ed età moderna già delineata da Tenenti, da Romano, da Cipolla.
1 «Commercio e cultura mercantile», a cura di F. Franceschi, R. Goldthwaite, R.C. Mueller, Angelo Colla, Verona-Vicenza, pagg. 824, s.i.p.,
ne «Il Rinascimento italiano e l’Europa», coordinatori G.L. Fontana e L. Molà, vol. IV.