
Il nuovo Rinascimento di Milano
Quando domenica 6 ottobre 2002, di fronte all’intera business community milanese, il cardinale Dionigi Tettamanzi diede la benedizione alla prima pietra del Polo esterno di Fiera Milano, molti erano scettici sui tempi di realizzazione della gigantesca opera. Invece sabato 2 aprile 2005 il colosso disegnato da Massimiliano Fuksas aprirà i battenti, insieme alla stazione della linea rossa della metropolitana milanese, appositamente prolungata fino a dove un tempo sorgevano le raffinerie Agip.
Milano e l’intero Paese possono andare orgogliosi di questo risultato, visto che il polo meneghino è destinato a diventare uno dei principali sistemi fieristici del mondo e la più grande infrastruttura per la promozione internazionale del made in Italy. Nel Paese della lentezza burocratica e degli interessi particolari che prevalgono su quelli generali, questi tempi di realizzazione hanno davvero del miracoloso: meno di due anni e mezzo. Com’è successo per la Scala la “cultura del fare” ha vinto: le istituzioni nazionali, la Regione Lombardia, le amministrazioni locali, hanno fatto sistema senza badare al colore politico delle maggioranze, con Fondazione Fiera presieduta da Luigi Roth, mondo delle imprese private, lavoratori e cittadini.
Tutti insieme abbiamo vinto una sfida straordinaria costruendo in tempi record un’opera che porterà sviluppo economico e nuovi posti di lavoro (a Rho-Pero c’è bisogno praticamente di tutto: servizi di accoglienza, alberghi, attività commerciali, logistica). Un successo il cui merito va attribuito in larga misura alle centinaia di aziende che hanno messo a disposizione del nuovo polo fieristico talenti e prodotti (i binari collocati nel tunnel del metrò, dove si è scavato a 18 metri di profondità per prolungare la linea rossa, ad esempio sono della Iclet ovvero “made in Busto Arsizio”) e agli oltre duemila operai, tecnici e ingegneri che nel cantiere più grande d’Europa hanno lavorato con un impegno straordinario.
Chi considera Fiera e Scala casi isolati si sbaglia. Dopo gli anni bui di Tangentopoli, infatti, la città ha rialzato la testa e le sue forze migliori si sono impegnate direttamente. É in corso una rivoluzione silenziosa che sta cambiando il volto di interi quartieri: otto milioni di metri quadrati di aree dismesse da recuperare rappresentano la più grande ricostruzione dopo quella seguita ai bombardamenti bellici. Tra dieci anni, Milano sarà un’altra Milano. I milanesi cominciano a esserne consapevoli e guardano con un misto di orgoglio e incredulità ai tempi rapidi di realizzazione della città che verrà.
Alla base di questo rinascimento urbanistico c’è una nuova ricetta che sembra funzionare: gare internazionali fatte alla luce del sole, collaborazione tra pubblico e privato; grattacieli e palazzi residenziali che nasceranno garantendo amplissime aree verdi con servizi per i cittadini, abitazioni per le fasce deboli e il gotha del settore real estate e dell’architettura mondiale che si cimenta in prima persona.
Se Fuksas ha progettato la grande vela che diventerà il simbolo stesso di Milano, Daniel Libeskind, l’architetto di Ground Zero, è tra i progettisti dei grattacieli che sorgeranno nell’area restituita alla città dalla Fiera Milano (il più alto sarà quasi due volte il Pirelli); Renzo Piano ha disegnato la sede del “Il Sole-24 Ore”; Norman Foster Montecity a Rogoredo; Cobb Freed e Paolo Caputo la nuova torre della Regione Lombardia che sorgerà accanto alla Città della moda in zona Garibaldi-Repubblica.
É un momento storico quello di oggi a Milano, che ricorda la Berlino di pochi anni fa: si progetta il futuro puntando sulla creatività e l’innovazione, con un orizzonte temporale di almeno 15-20 anni. Si guarda finalmente lontano dando spazio a grandi idee come la Biblioteca europea. I magistrati milanesi dicono che il palazzo del Tribunale è vetusto, in parte fatiscente e che non è più in grado di supportare funzionalmente il loro lavoro? Bene, perché allora non pensiamo a un suo trasferimento, visto che è anche un pasticcio architettonico, e in quell’area facciamo i “Giardini del Tribunale”, lasciando qualche elemento dell’edificio come memoria di quello che c’era?
La memoria è importante. Recentemente, come presidente di Assolombarda, ho voluto proporre al Comune di ornare alcune piazze con i segni delle industrie che hanno fatto diventare Milano la capitale economica d’Italia. Ad esempio alla Bicocca, dove è nata la Pirelli, o nella rinata area dei navigli o in via Bergognone dove c’era l’Ansaldo. Perché Milano sta cambiando pelle, ma non deve perdere l’anima. Tanto più che grandi gruppi internazionali come Techint, Unicredit, Torno Internazionale, Euroflay, L’Orèal, Total, Deloitte, Siemens, Compaq e altri ancora hanno aperto o vogliono aprire qui, e non altrove, i loro head quarter e palazzi uffici.
Anche questo è un segno di vitalità e un’opportunità per la città. É un’opportunità straordinaria per il distretto del design milanese, ma deve diventarlo anche per l’intero sistema industriale. Designer, architetti e creativi, sono i progettisti del nostro futuro: Milano ha fatto molto per loro, e loro devono interessarsi di Milano. Ad esempio, quando realizzano i loro progetti, preferendo agli oggetti fatti ad hoc, in maniera quasi artigianale, i prodotti a contenuto industriale che escono dalle fabbriche di tantissime grandi e piccole imprese italiane, che per solidità, funzionalità, innovatività e bellezza non hanno nulla da invidiare agli altri. Le economie di scala sono importanti per l’industria italiana per riuscire a battere la concorrenza internazionale e trasformare la rivoluzione urbanistica e architettonica di Milano in ricchezza e posti di lavoro per tutti.
* Presidente di Assolombarda