Rassegna stampa

I padroni delle reti e gli interessi dei «padroncini»

Visto dal territorio sembra sideralmente lontano il dibattito che vede protagonista alcuni big players del capitalismo delle reti, dall’energia alle autostrade, dalle banche sino alle telecomunicazioni. Si sta a vedere, si osserva, ci si interroga senza essere protagonisti. Se si è artigiano, padroncino di una piccola impresa o titolare di una media impresa leader si ha ben chiaro che è in atto un processo complesso che riguarda il rapporto tra capitalismo manifatturiero, che insiste sui territori, magari delocalizzando, e capitalismo delle reti, che determina flussi di finanzia, di energia, di logistica, di comunicazione. Nella Marca Trevigiana si discute del gruppo Benetton. Una volta impresa leader del sistema tessile-abbigliamento-calzaturiero locale. Oggi impresa diversificata in due divisioni specializzate. Da una parte le utilities (autostrade, telecomunicazioni, banche, giornali), dall’altra il retail (tessile, abbigliamento, turismo…). Sono pochi quelli che nel Nord-Est hanno fatto questo sincretico passaggio.

La Confartigianato di Brescia interroga i propri associati sul tema delle infrastrutture per raggiungere i committenti e i clienti. È finita l’epoca, anche per il capitalismo molecolare, di avere tutto nel Comune di localizzazione dell’impresa. I localisti sono solo il 21%. Più del 16% produce per la piattaforma lombarda. Quindi la Brebemi, la Pedemontana e la tangenziale di Milano sono per loro la nuova catena di montaggio dove fanno subfornitura. Il costo dei pedaggi, la qualità della rete autostradale, la realizzazione di nuove infrastrutture non è questione di poco conto per la competitività delle impresine. Tant’è che chiedono ai loro rappresentanti di fare lobby buona verso la politica e verso i "padroni delle reti". Come se gli artigiani di Brescia potessero incidere nel gioco che avviene a Barcellona e a Bruxelles a proposito della fusione tra Abertis e Autostrade per l’Italia. Ma non demordono. Chiamati a discutere di strade e autostrade rilanciano sull’energia e chiedono se, la ventilata fusione tra Aem di Milano e Asm di Brescia, oltre alla nascita del nuovo big players del settore, significherà per loro pagare meno energia elettrica.

Il ruolo delle istituzioni

Le autostrade, le multiutilities, ma anche le banche, le fiere, gli aeroporti e le reti di comunicazione sono visti come beni competitivi territoriali. Local collective competition goods, espressione utilizzata in sociologia economica per indicare i "beni collettivi" al servizio della comunità, degli interessi economici di un dato territorio.

La crescita sociale ed economica è infatti considerata esito di scelte e azioni che non hanno per oggetto solo l’impresa, piccola grande o leader, ma l’intero territorio con la sua dotazione di infrastrutture, nodi logistici, saperi, banche, servizi di welfare.

È una logica di prossimità che porta a seguire gli incontri tra il sindaco di Brescia, di Bergamo, di Milano per l’accordo sulle utilities. Si informa su cosa significa la proposta della Regione Lombardia di avere un ruolo nella concessione delle autostrade lombarde. Si interroga sull’incontro tra Formigoni e la Bresso che discutono di Alta velocità, Corridoio 5 e delle fusione tra San Paolo e Banca Intesa. Tutti nodi fondamentali per la competitività del Nord-Ovest nella globalizzazione. A cui non si può rispondere solo con la metamorfosi del capitalismo denominata di volta in volta economia informazionale, della conoscenza, delle reti. Il che non significa che il capitalismo manifatturiero non ha più peso nel produrre reddito ricchezza e profitto. Anzi. Questo dipende sempre più da un sistema di attori che definisce il proprio ruolo gestendo, padroneggiando, "le macchine a vapore del postfordismo". Sono le reti immateriali, dalle fabbriche del materiale umano, università e altri istituti formativi, ai servizi collettivi, dalle reti della creatività e del linguaggio a quelle della finanza, ai brand che danno identità e personalità ai prodotti e le reti fisiche, energia, acqua, servizi di trasporto, gas, reti digitali e satellitari, assi autostradali e nodi di intersezione come i porti, gli aeroporti, gli interporti. Temi tutt’altro che teorici se basta sovrapporre la mappa delle sedi delle 4.000 imprese leader del capitalismo italiano a quella delle autostrade, la più primordiale delle reti, per capirne la simbiosi e l’intreccio.

Temi cruciali se colleghiamo la dotazione di reti con le piattaforme produttive del sistema Paese, del Nord-Ovest, della Pedemontana lombarda e veneta, della città adriatica, del Centro e del Sud Italia. Qui il deficit di competitività, in parte colmato sul versante delle imprese, è una voragine sul terreno dei servizi: dalla Salerno-Reggio Calabria alle ferrovie sino al problema irrisolto dei rifiuti.

Per chi sta in basso, sul territorio, utente-cliente o piccolo o grande produttore manifatturiero, a volte il capitalismo delle reti può sembrare una nuova forma di rendita con le sue tasse sul macinato che insistono sui processi elementari del movimento, in un mondo sempre più veloce dell’energia, sempre più scarsa e del comunicare sempre più necessario. Un giano bifronte tra una funzione di rilevanza "pubblica", gestendo risorse che generano effetti di sistema, e la natura giuridica "privata" che risponde a logiche di massimizzazione dei vantaggi posizionali che sono resi enormi in regimi di concorrenza asfittica. Così i tanti del Nord-Est, che non sono Benetton, e gli artigiani di Brescia si ritrovano come vasi di coccio tra una astratta nostalgia di statualità, erroneamente identificata con la nozione di pubblico e l’opzione al di là da venire di una liberalizzazione di settori auto-governati da interessi privati, al limite regolati da Bruxelles. Non in grado di proporre un modello in cui la modernizzazione tecnica e le ragioni dell’efficienza si accompagnino a forme inedite di partecipazione del territorio, delle imprese e dei cittadini, che non sono solo un esercito di produttori e di utenti-clienti.

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