Rassegna stampa

Fiere polemiche per Milano

Son tornate le gru sul cielo di Milano e piccoli e grandi nidi sono ormai visibili dappertutto nella cintura di ferro dell’ex periferia industriale. Il grande anello delle fabbriche che segnò all’inizio del Novecento l’epopea della “città che sale” si presenta, all’inizio di questo secolo post-industriale, come il teatro di una metropoli in movimento, e la frenetica disseminazione di cantieri inserisce la città nel processo di quelle grandi trasformazioni urbane che già da qualche decennio hanno cambiato il volto delle varie capitali d’Europa.

Dalla Bicocca alla Bovisa, dalla Barona a Rogoredo, eccetera, la nomenclatura nobile della “Milano Tecnica” viene riscritta nella terminologia burocratica dei Pru (programmi di riqualificazione urbana), dei Pii (programmi integrati di intervento) o dei Pir (programmi integrati di recupero) che, sulle ceneri del piano regolatore generale, stanno cambiando l’atlante del paesaggio metropolitano senza tuttavia l’accompagnamento di una congruente consapevolezza estetica e culturale. Cadono sotto le ruspe i monumenti inconsapevoli descritti da Boccioni o da Sironi, ma al loro posto non si vedono ancora quei “nuovi segni” che – nella Barcellona olimpica degli anni Ottanta come nella Berlino riunificata degli anni Novanta o nella Bilbao “dismessa” del 2000 – hanno rilanciato la ricerca di un’identità collettiva mettendo in discussione eredità del passato e ipoteche del futuro.

Consegnati alla pura legge del mercato, la contrattazione e il governo della trasformazione stanno dunque verificando l’empirica convinzione che, in generale, il liberismo faccia male all’architettura, come dimostra, non a caso, il “pasticcio postmoderno” dei Docklands di Londra, l’esempio più vistoso della politica di deregulation promossa nell’Inghilterra degli anni Ottanta da Margaret Thatcher.
Un processo di ricostruzione senza precedenti ha rimesso in moto la città arrugginita: ma in attesa della Città della Moda e di quella della Cultura, del Museo del Presente, del Museo del Novecento e della Biblioteca di porta Vittoria, sono i grandi intensivi residenziali – da Lambrate al Lorenteggio – a vincolare con un’architettura anacronistica e inadeguata la nuova cintura metropolitana. A un secolo di distanza riprende così quota, beffardo, il “Milanin Milanon” con cui Emilio De Marchi si accomiatava in nostalgica punta di piedi dalla città : e mentre le statistiche economiche la collocano nel catalogo delle metropoli mondiali, la città dell’innovazione deve fare i conti con l’inerzia di una classe politica che non sa rinunciare a stereotipi di maniera e l’arretratezza di una classe professionale estranea alla sua tradizione di capitale del Moderno.

I rari casi di qualità – l’area Bicocca della Gregotti Associati; la torre di Massimiliano Fuksas nell’area O.M. di via Ripamonti; la sede de di Renzo Piano; il supermercato Esselunga di Caccia Dominioni in via Rubattino, eccetera – fanno risaltare ancora di più la sudditanza al mercato. Rimane così affidata ai previsti piani di sviluppo per il Portello e Montecity la speranza di un’inversione di tendenza su cui un’ipoteca di grande rilevanza strategica viene posta in questi giorni dal varo del concorso per la sistemazione della cittadella fieristica nella pregiata area del Sempione.

A pochi giorni dalla presentazione delle candidature di partecipazione, si riaccende il gossip mediatico su assenze e presenze delle star internazionali, ma non decolla il dibattito sui modi e sui fini di una questione cruciale nei destini della città. Tradizionale motore dell’economia metropolitana, la Fiera Campionaria insediata dal 1923 nel quadrilatero “fortificato” della “città delle merci” rappresenta da sempre un’anomalia “geometrica” nell’urbanistica dell’intera città: criticata da Giuseppe De Finetti negli anni del dopoguerra proprio sulle pagine del <24Ore>, la “piazza Cordusio in miniatura” – secondo l’ironica definizione di Edoardo Persico – fu il campo di battaglia degli architetti razionalisti che, nel 1938, in occasione di un suo ventilato trasferimento, vi proposero la costruzione di un quartiere modello dalla profetica intitolazione – “Milano verde” – che avrebbe dovuto sciogliere la città virtuale degli scambi nella città ideale del diritto alla qualità. Una battaglia persa, visto il peso degli interessi in gioco, ma che oggi, per una singolare inversione del “destino”, sembra riproporsi in termini più che realistici vista l’imminente apertura del cantiere del nuovo “polo” di Rho-Pero previsto dall’accordo di Programma del 1994. Con la drastica riduzione delle superfici espositive, circa 260mila metri quadri saranno restituiti alla città con la destinazione del 50% a verde: ma già da molti si paventa il pericolo di una restituzione, invece, alla speculazione immobiliare, al di fuori di una strategia urbanistica che inquadri il prezioso tassello nell’auspicato sviluppo di un’autentica dimensione collettiva. Per Milano dunque un’occasione campale per riformulare il proprio ruolo alle soglie di una trasformazione epocale; per l’opinione pubblica, invece, sinora il ruolo muto dello spettatore. Più di un secolo fa, nel 1880, le mire di un pool di banche – la Fondiaria Milanese – sulla piazza d’arme di Foro Bonaparte suscitò un’ondata d’indignazione per quella che si può considerare la “madre di tutte le dismissioni”: un quadrilatero – ancora! – attorno al Castello, reso libero dallo spostamento dei servizi militari e trasformato nella visione di un quartiere alto borghese. L’attentato al Castello e le critiche alla mancata attenzione al valore civile e collettivo dell’architettura indussero alle dimissioni l’amministrazione comunale e all’attribuzione all’ingegner Beruto dell’incarico del piano regolatore. Ne derivò un compromesso che ancor oggi però configura l’immagine più tipica della Milano fin de siècle con la preziosa ghirlanda del parco del Sempione. C’è da augurarsi che anche dal recinto della Fiera venga un arricchimento, una precisazione della Milano d’inizio secolo: la scommessa è aperta e tutti sono invitati a partecipare, quindi a vigilare.

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