Rassegna stampa

Fiere in corsa per i nuovi eventi

Potenza del frazionismo. L’ultima puntata della guerra per fiere è la partnership tra l’Ucima (Unione costruttori italiani di macchine per l’imballaggio) e Rimini Fiera per la realizzazione di una nuova mostra dedicata al packaging. La prima edizione, a cadenza triennale, si terrà nella città adriatica nella primavera 2010 e «coprirà tutti i settori dell’imballaggio», spiega il presidente di Ucima Giovanni Caffarelli. «Sappiamo di inserirci in un mercato già presidiato, ma sappiamo anche di avere ottime carte da giocare: la collaborazione dell’associazione di categoria leader e l’appeal del nostro quartiere fieristico», gli fa eco il presidente di Rimini Fiera, Lorenzo Cagnoni.
Peccato però che ad appena tre ore di auto, a Milano, va in scena dagli anni Sessanta Ipack-Ima, cioè la fiera leader (seconda in Europa) nell’imballaggio dei processi alimentari, con una media di 1.500 espositori (di cui il 40% stranieri) per 55mila visitatori (25% dall’estero). Insomma, fiera contro fiera. «Siamo sereni che i nostri espositori ci confermeranno la tradizionale fiducia», replica piccato l’ad di Ipack-Ima, Guido Corbella. «Il punto però è che iniziative del genere sembrano rispondere più a logiche di disturbo che industriali. Fiere per imitazione, più che di mercato». Non senza un potenziale disorientamento tra gli espositori, che magari tra Milano e Rimini sceglieranno di emigrare su altre piattaforme oltreconfine.
Di questi dualismi, purtroppo, l’Italia delle fiere è piena. Il caso più eclatante è la querelle Parma-Milano su Cibus e Tuttofood. A marzo infatti le due fiere siglano un memorandum dopo anni di campanilismi sfrenati: Parma, con Cibus, dovrà dedicarsi al retail; Milano, con Tuttofood, alla ristorazione. In realtà i due enti alla fine non si mettono d’accordo, continuando a litigare. Da Parma si accusa Milano, in vista di Expo, di voler rubare Cibus per portarselo in Lombardia. Da Milano si taccia Parma di voler cedere il gioiello Cibus ai francesi del Crédit Agricole, azionisti decisivi della fiera parmense. Nel frattempo i rivali europei continuano a macinare numeri più che doppi dei due litiganti italiani: Sial a Parigi fa 100mila mq di stand, 5mila espositori e 200mila visitatori, e Anuga a Colonia 150mila mq di spazio espositivo, 6mila espositori (di cui oltre mille italiani) e 160mila visitatori.
Altra concorrenza fratricida sta montando nel campo delle energie rinnovabili, questa volta sul corridoio Milano-Verona. Il capoluogo lombardo a novembre inaugura Enersolar e Greenergy 2009, con l’ambizione di diventare una piazza internazionale per la sostenibilità ambientale e la produzione di energia in chiave Expo 2015. Anche qui, in realtà un salone internazionale simile esiste già da 11 anni nella città veneta con SolarExpo.
E ancora. Nel campo del fitness/wellness, il doppio evento ForumPiscine e Forum Club dal prossimo febbraio traslocherà da Verona a Bologna. Senza contare l’annosa guerra del turismo Milano-Rimini, dove si fronteggiano il colosso ambrosiano Bit e Ttg, costola adriatica della ben più ambiziosa alleanza (anti Bit) romano-riminese che l’anno scorso ha dato vita a Globe 09. Una mostra poi sospesa dopo il divorzio tra i due enti. E si potrebbe proseguire ma basta questo a descrivere un cannibalismo fieristico che rischia di indebolire un settore vetrina dell’economia italiana (1,5 miliardi di fatturato, 10 con l’indotto). Come se la crescita del numero di fiere fosse più orientata a contendersi il mercato interno che quello internazionale. Troppo influenzati dalle Regioni, cioè dalla politica, i piani di investimento. In questo modo è forte la tentazione di moltiplicare le mostre come volano di consenso e potere. Basti dire che tra il 2000 e il 2007, a fronte di 23 manifestazioni in più, gli espositori totali sono calati e l’incremento di visitatori stranieri è stato di sole 200 unità.
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