
Fiere, alleanze in ordine sparso
A CURA DI
Eleonora Vallin
L’idea di una grande Fiera veneta è stata ormai riposta nel cassetto. Non è tempo per farla ora: non ci sono le intenzioni, né una regia politica fortemente motivata. Non ci sono gli interessi, né le opportunità.
Un’asse, però, si sta creando e coinvolge Verona e Vicenza. Il punto di partenza è stato l’accordo per Luxury and Yachts. Vicenza ha acquistato il 45% del pacchetto «con l’opzione per il resto» che è rimasto in capo all’ente scaligero, più un 10% che è in seno a Coin. «Inutile farsi concorrenza – dice il presidente vicentino Dino Menarin – meglio collaborare. Così, abbiamo ceduto la nostra fiera del vino, coordinato i calendari e avviato un ragionamento sul piano internazionale».
Vicenza sta vivendo un importante momento di ristrutturazione. Lo scorso settembre è partito il nuovo piano industriale che si è posto come obiettivo 32 milioni di fatturato (nel 2007 i ricavi sono stati di 28 milioni). Un cambio verso una fiera specialistica legata al made in Italy, all’alto di gamma con un forte valore aggiunto basato non solo sul «prodotto oro ma su design, tecnologia, moda». «Non siamo più solo venditori di spazi – aggiunge Menarin – ma di servizi, con una forte azione di scouting verso i Paesi emergenti quanto a consumi».
Verona, invece, continua nella rigenerazione in chiave marketing delle manifestazioni leader. «Fino a qualche anno fa – precisa il presidente Giovanni Mantovani – l’obiettivo era una grande presenza di espositori, ora è creare domanda». Due gli assi di espansione dell’unica grande fiera veneta: internazionalizzazione (funzionale alla commercializzazione dei prodotti) e specializzazione orientata su quattro macroaree (wine and food, casa, macchine e tempo libero).
Aspra battaglia invece sul fronte orientale, a Venezia, unica città che non ha un quartiere fieristico ma un ottimo marchio internazionale, a cui pochi rinunciano. Gli attori in campo sono due: Expovenice, nata come Spa nel 2007, e Veneziafiere (il cui maggiore azionista è Veronafiere) che oltre a non parlarsi (Veneziafiere aveva assegnato un posto in Cda a Giancarlo Zacchello già nel consiglio di Expovenice, ma la sedia è sempre rimasta scoperta) giocano pure due partite in aperta concorrenza: stesso settore, quello della nautica, date ravvicinate e un continuo pestarsi i piedi. «Quando a regolare il calendario fieristico era il ministero dell’Industria – dice Mantovani – c’era più controllo. Ora servirebbe un’Authority». «Questa è una città – spiega Piergiacomo Ferrari di Expovenice – che non deve avere un quartiere ma si deve mantenere così, attivando eventi di nicchia a forte vocazione internazionale. La dualità esistente danneggia il percorso».
Al centro dello scenario resta Padova che, dice il direttore generale Paolo Coin «si sta assestando sul mercato». La chiave è la politica di accordi e relazioni tessute da GL Events che ha portato l’ente a costruire solide partnership con Milano, Rimini, Bologna. L’idea? «Diventare una fiera di medie dimensioni come Torino – spiega Coin – fortemente integrata nel gruppo per sfruttare sinergie in grado di dare benefici e ridurre i costi». Sì quindi al gioco di alleanze, ma fuori regione.
Il quadro è quanto mai schizofrenico, difficile da semplificare con una reductio ad unum. «Non credo – commenta Davide Galli, da 18 anni rappresentante di Monaco Fiere in Italia e profondo conoscitore del mercato – abbia senso mantenere questa eccessiva offerta fieristica, né tenere calendari con tre eventi l’anno. Oggi le fiere si vincono se si rende intelligibile l’offerta, si diventa internazionali,si hanno attorno buone infrastrutture: portare un visitatore straniero a Verona è possibile, a Vicenza difficile, a Longarone improponibile».