
Fiere al bivio dell’efficienza
Il sistema fieristico italiano e quello europeo escono lentamente e con affanno dai 18 mesi di crisi globale a cavallo tra il 2008 e il 2009. Ma soprattutto devono essere pronti ad affrontare un mercato completamente trasformato rispetto a due anni fa. Un bivio che imporrà una riorganizzazione e nuove linee strategiche per un settore da cui ha origine il 10% dell’export nazionale e che genera affari per 60 miliardi di euro.
L’occasione per fare il punto, anche nel confronto internazionale, sull’evoluzione del sistema fiere alla ricerca di «business vincenti» l’ha offerta ieri il convegno organizzato dall’Aefi (l’associazione che raccoglie 40 enti fieristici italiani) e dal Sole 24 Ore, per gli operatori del settore e le organizzazioni imprenditoriali. L’incontro è servito anche per sentire i primi pareri sull’iniziativa dal viceministro dello Sviluppo economico, Adolfo Urso, che proprio lunedì scorso ha presieduto la prima riunione del tavolo di coordinamento sul sistema fiere con le regioni (a cui la riforma del 2001 delega la materia), le associazioni di settore, Ice e Unioncamere. Secondo Michele Perini, presidente di Fiera Milano, «può servire a creare i presupposti per alleanze tra le fiere e favorire l’internazionalizzazione purchè porti la gente qui». Scettico, invece il presidente di Rimini Fiera, Lorenzo Cagnoni: «Un pannicello caldo che non porterà a una svolta. Serve razionalizzare, innovare e un’internazionalizzazione non effimera».
Raffaele Cercola, presidente dell’Aefi, ha presentato i dati della ricerca 2010 sul sistema fieristico, realizzata con l’Università di Napoli. «Rispetto alla stessa indagine condotta a fine 2008 – ha spiegato Cercola – la percezione della durata della crisi è sensibilmente peggiorata». Allora più del 60% degli intervistati riteneva che la crisi non sarebbe andata oltre il 2010. Oggi i due terzi ritengono che la ripresa non si manifesterà prima del 2012. E il 20% ritiene che si andrà oltre il 2013. «Queste aspettative – ha sottolineato Cercola – non riflettono il miglioramento della prima parte del 2010 che comunque l’indagine ha evidenziato». È emerso in modo netto, inoltre, il rafforzamento di tre tendenze: internazionalizzazione degli organizzatori (80% degli intervistati), riduzione del valore degli spazi fieristici (69%) e diffusione di nuovi mezzi di comunicazione (67%). Non sembra destinato a ridursi, invece, il numero di fiere, nonostante l’eccesso di offerta in Italia messo in evidenza anche da René Kamm, presidente dell’associazione di settore europea (Emeca). Secondo Kamm, comunque, le sfide che il sistema nazionale deve affrontare non sono diverse da quelle che si trovano davanti gli altri paesi europei. «L’Italia parte da una buona posizione – ha detto – per sviluppare linee strategiche che anticipino il futuro».
Quali sono queste linee? «Un maggiore orientamento al settore privato; maggiori investimenti in prodotti e risorse umane; internazionalizzazione non con i sussidi pubblici ma con un’offerta specializzata per settori sull’esempio di Norimberga; offerta di servizi più ampia e, infine, integrazioni e fusioni con l’obiettivo di ampliare il portafoglio prodotti e la copertura geografica». Un’esigenza, quest’ultima, sottolineata tra gli altri da Franco Bianchi, segretario generale del Comitato fiere di Confindustria, quando ha sottolineato l’esigenza di «una politica di sistema che superi gli individualismi ed i localismi, con una governance centrale per ottimizzare le risorse disponibili».
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