
Fiera di Trieste: un futuro alleandosi con Udine e Gorizia
Il susseguirsi quasi giornaliero di notizie sul futuro della Fiera di Trieste, mi impone delle puntualizzazioni, visto che, anche per mere ragioni anagrafiche, sono una delle memorie storiche dell’ente, che ho diretto dal 1980 al 1995. Agli inizi degli anni ’50 viene inaugurato con grande enfasi il nuovo quartiere fieristico di Montebello nel cui ambito vengono realizzate tutte le varie edizioni dell’unica manifestazione allora esistente, la Campionaria internazionale dopo le primissime edizioni del secondo dopoguerra tenutesi alla Stazione Marittima e al Castello di San Giusto. Da allora un processo di continuo e irrefrenabile sviluppo urbanistico della zona fa sì che il comprensorio fieristico venga sempre di più a trovarsi «ingabbiato» da nuove costruzioni e di conseguenza privato di una serie di servizi essenziali come ad esempio i parcheggi. Agli inizi degli anni ’70, sotto la presidenza di Piero Slocovich, si conviene che il quartiere di Montebello deve essere abbandonato e si punta l’attenzione sul terrapieno di Barcola, ma con quale risultato? Che il terrapieno viene occupato da varie altre realtà e il comprensorio di Montebello viene cancellato in sede di Piano regolatore e la destinazione «fieristica» viene sostituita da «edilizia scolastica» con conseguenze paradossali. Un nuovo sussulto alla fine degli anni ’80, presidente Gianni Marchio, con il progetto di trasferimento alle Noghere che non fu nemmeno preso in considerazione. Si continua a restare a Montebello finchè la soluzione più idonea appare, verso la fine degli anni ’90, lo spostamento in Punto Franco Vecchio, risultato: nel 2007 siamo sempre là, non solo ma l’attuale presidenza si trova nella situazione di dovere riconoscere la assoluta impossibilità di proseguire nell’utilizzo del quartiere. Emerge infine, la disponibilità di Muggia in parte ricalcando la proposta Marchio di ben 17 anni prima. E tutto ciò in un quadro di riferimento regionale che vede oramai delle posizioni ben delineate in campo fieristico, con Pordenone al primo posto, quindi Udine con cospicui investimenti che hanno reso competitiva l’area di Torreano di Martignacco e infine Gorizia e Trieste emarginate anche a causa di una difficile situazione economica di riferimento. Una manifestazione fieristica abbisogna di un riferimento produttivo ben preciso per poter puntare potenziali espositori e visitatori, elementi entrambi assenti sia a Gorizia che a Trieste in presenza di un propensione al terziario, peraltro difficilmente traducibile in manifestazioni fieristiche. Non è più tempo di voli pindarici come ad esempio in tema di fiera nautica, mi spiace dirlo, perché, finché si parla di iniziative collegate alla Barcolana va tutto bene, altrimenti non si può dimenticare che, dalla chiusura del «Nauticamp» triestino nei primi anni Novanta, sono sorte l’Internautica di Portorose ed il Salone di Venezia, togliendo qualsivoglia margine di manovra in tale ambito alla nostra città! Non ho nessuna ricetta miracolistica né ho mai pensato di poterla avere: credo che sia giunto il punto di verificare nel chiuso di una stanza l’effettiva volontà della città di continuare ad avere un’ente fieristico in parallelo con un’attenta verifica delle possibilità di vita e di sviluppo oggi esistenti per tale strumento a Trieste. Non dimentichiamo che i soci dell’Ente Fiera sono, per quasi il 90% del capitale sociale, il Comune, la Provincia e la Camera di commercio, gli stessi e gli unici cui compete ogni decisione in merito nei termini sopra indicati. Forse la tanto temuta e bistrattata possibilità di estendere all’ente triestino l’alleanza stipulata da Gorizia e Udine unitesi in «Udine e Gorizia Fiere» meriterebbe maggiore attenzione da chi di competenza! Giorgio Tamaro