Rassegna stampa

E Ruskin fu stregato dai monti

di Enrico Castelnuovo

Le cattedrali della terra… Più di una volta John Ruskin ha usato questa espressione a proposito delle Alpi. Un’immagine ispirata dalle grandi masse che si elevano torreggiando, dal loro slancio verticale, dalle loro guglie che suggeriscono le forme delle chiese gotiche. Al di là della folgorazione visiva, al tempo stesso appare in essa una curiosità architettonica e un’intensa religiosità che fin da bambino egli aveva respirato nella sua famiglia di devoti evangelici; più laicamente, nel Child’s Harold’s Pilgrimages, Lord Byron le aveva chiamate «palazzi della Natura». (…)

Le Alpi furono per John Ruskin un paradigma di maestosità, di purezza, di bellezza, e le volle conoscere, studiare, descrivere, disegnare e dipingere (e anche fotografare) in tutti i loro aspetti – geologici (già giovanissimo dedica alla geologia i suoi primi brevi saggi), climatici, botanici, umani –, nelle loro forme, nei loro colori, nei loro cieli, nelle loro luci. Furono le stelle che presiedettero al suo destino. Ormai anziano, in Praeterita ricorda la prima improvvisa visione che ne aveva avuto nel 1833 da una collina sopra Sciaffusa quando non era ancora quindicenne: «Nessuno di noi pensò per un istante che fossero nuvole. Erano trasparenti come cristalli, taglienti nel limpido orizzonte e già tinte di rosa nel sole calante… la visione delle mura del paradiso perduto non avrebbe potuto essere più bella». E due anni dopo guardandole da un passo sopra Ginevra: «Il Col de la Faucille in quel giorno del 1835 mi fece scoprire distintamente la Terra Promessa della mia opera futura e la mia vera patria in questo mondo». (…)

Nel 1842 Ruskin è di nuovo a Chamonix e qui, ventitreenne, per rispondere alle critiche suscitate da un’esposizione londinese, medita di scrivere un saggio in favore di Turner (diverrà il primo volume di Modern Painters, che uscirà l’anno successivo) e in lontananza vede una valanga, un soggetto caro al pittore. Nel 1844, durante un nuovo soggiorno, conosce Joseph-Marie Couttet, esperto montanaro, più volte salito sul Monte Bianco, che gli sarà guida, interlocutore, compagno di escursioni e di viaggi, per decenni.

Oramai molti elementi della futura vita di Ruskin sono presenti: le riflessioni sull’estetica del paesaggio in pittura, sulla montagna, sulla ricerca della verità in natura e nell’arte, e ha avuto inizio l’opus magnum – Modern Painters – la cui stesura si protrarrà per tre lustri. I soggiorni e i viaggi in montagna si susseguiranno anno dopo anno, Macugnaga, Zermatt, Mornex sulle pendici del Salève, e naturalmente Chamonix, tanto da immaginare, prima dell’illuminazione avuta davanti ai Tintoretto di San Rocco, di poter scrivere, The Stones of Chamonix, idea presto abbandonata in favore di The Stones of Venice.

Resta e si fa più profonda la passione per la geologia: capire le montagne, come esse si siano formate e come a poco a poco si consumino, conoscere i materiali di cui sono fatte, i graniti, le ardesie e le loro proprietà, le loro forme, i loro rapporti: catena centrale, catene laterali, valli, picchi, creste, guglie, precipizi, tutto ciò non è lontano o disgiunto dalla storia dell’arte o dell’architettura, al contrario ha con esse, attraverso lo studio delle forme e delle materie, un legame profondo. Ruskin, che chiama il Cervino «il più nobile scoglio d’Europa», «the noblest cliff of Europe», ne prende inaspettatamente ad esempio la parete est per parlare di un elemento architettonico. È singolare che ciò avvenga in The Stones of Venice, un libro dedicato all’architettura veneziana del medioevo, ma la prosa trascinante e le inaspettate divagazioni di Ruskin fanno sì che quando si inizia a leggere un suo scritto non si possa mai prevedere dove si andrà a finire.

1Il libro di Marco Ferrazza, «John Ruskin. Il fondatore dell’estetica alpina» (Cda & Vivalda editori), verrà presentato sabato 10 (alle 18,30) presso lo Spazio Autori A. Con l’autore intervengono Enrico Castelnuovo, Pietro Crivellaro ed Evelina Christillin.

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