
E con la Fiera-bis avrà inizio una nuova epoca
Sarà un grande evento, l’inaugurazione della nuova Fiera. Un evento in sé. Se si pensa al dibattito che sembrava non aver mai fine sulla localizzazione del nuovo polo. Al rispetto dei tempi. Al simbolico impatto che ha l’inaugurazione del più grande polo espositivo europeo nella competizione tra città globali. Evento a rischio di retorica, anche se non credo che Fuksas abbia progettato la grande vela per i venti suadenti della retorica del presente. Mi pare più il simbolo di un esodo, di un veleggiare verso un altrove. Di un cambio d’epoca. Una faglia nelle lunghe derive dello sviluppo, della produzione e della commercializzazione delle merci.
Già nella sua localizzazione, scava la nuova Fiera. Nel pieno realizzato a Pero e Rho, che da Comuni della cintura milanese si ritrovano a essere polo terziario e commerciale della Lombardia nel mondo. Nel vuoto lasciato dentro Milano. Messo a gara per riprogettare un pezzo di città. É il classico sasso nello stagno che si propaga a raggi concentrici. Nella città infinita che va da Varese a Brescia ci si interroga sul che ne sarà dei poli espositivi locali. Delle tante fiere ove si fa rappresentazione dei prodotti dell’artigianato e dei distretti della Pedemontana lombarda. E della piattaforma agricola che va da Lodi sino a Mantova. Ci si chiede quale intreccio ci sarà tra il turismo di qualità del lago di Como e la massa di visitatori della Fiera. Come si ridisegnerà l’agenda dei grandi eventi con un polo dell’intrattenimento come la Nuova Fiera per città come Bergamo, Brescia o Mantova, che si sono riposizionate come città spettacolo.
É chiaro a tutti che lo spazio che sta per essere inaugurato non sarà solo una esposizione di merci. Ma anche uno spazio di eventi culturali, di intrattenimento, di spettacolo, di negozi e spazi commerciali. Come devono essere le Fiere moderne, se vogliono sopravvivere. Non solo spazio di esposizione delle merci, ma luoghi di attrazione di milioni di utenti-clienti ai quali si rappresenta al meglio l’idolo della merce.
Questo rimanda al ruolo storico che Milano ha sempre avuto. Essere “città anseatica”, dei commerci, della finanza, per l’industria italiana. Ai tempi dell’economia delle Nazioni questo prese corpo attorno al progetto della mitica Campionaria. Oggi, nella globalizzazione, la nuova Fiera si presenta come una grande porta dell’Italia rispetto al mondo. I cerchi si fanno più larghi. Già da Torino giungono segnali per rilanciare, partendo proprio dalla Fiera, il mitico Mi-To, l’asse Milano-Torino. Nel Nord-Est la Fiera di Verona con la sua specializzazione agricola, quella di Vicenza con l’oro, quella di Padova (ove sono entrati i francesi) si preparano a competere come porte d’ingresso del Paese verso Est. Si guarda a Pero e Rho anche dall’asse emiliano. Con Parma e la sua authority europea per l’agroalimentare, Bologna con il suo motor show, e Rimini con la sua Fiera del distretto turistico.
Se nel fordismo il posizionamento delle fabbriche svolgeva una potente funzione ordinatoria, nel post-fordismo i luoghi di rappresentazione e circolazione delle merci sono i nuovi poli ordinatori. Estremizzando, se ne deduce che la nuova Fiera, sorta a pochi chilometri di distanza, sta alla Lombardia come un tempo stava l’Alfa Romeo di Arese. Così come la Fiat un tempo ci rappresentava nel mondo e oggi le nuove porte sono le Fiere e i poli della logistica ove si rappresenta e viaggia la molteplicità produttiva del sistema Paese.
Un mutamento epocale che non può essere affrontato con pure logiche sostitutive. Là dove c’era una raffineria si fa una Fiera. Là dove c’era l’Alfa di Arese si ipotizza lo stoccaggio logistico del porto di Genova. Là dove c’era Mirafiori si fa un bel concorso internazionale di architetti. Poi si vedrà. La grande transizione è più complicata. Non bastano gli eventi se non si scava nei processi dello sviluppo. A questo mi pare rimandi la proposta del presidente Luigi Roth di ragionare della Fiera come fosse una Fondazione di sviluppo. Solo se i capannoni del nuovo polo sapranno attrarre ciò che resta e ciò che sarà del capitalismo lombardo e italiano la Fiera sarà non un evento, ma un processo di sviluppo.
Allora occorre dialogare con un polo produttivo dell’Agusta che vende elicotteri a Bush, con il metadistretto del design della Brianza, da cui arriva un bel pezzo del salone del Mobile, con il kilometro rosso della meccatronica a Bergamo, con il polo dell’acciaio a Brescia, con l’agricoltura della bassa e con la nebulosa dei tanti piccoli imprenditori e artigiani che innervano la piattaforma produttiva lombarda. Solo così si può fare rappresentazione delle merci. Facendo della Nuova Fiera una rete lunga in grado di raggiungere i distretti produttivi del made in Italy. Rappresentandoli nel loro sforzo di produrre e vendere nel risiko della competizione globale.
Un polo come la Fiera deve sviluppare una strategia di alleanze con quel capitalismo delle medie imprese che fanno internazionalizzazione ed esserne il luogo di rappresentazione, diventando il punto di snodo del loro andare e venire nel mondo.
La Fiera, pur non essendolo giuridicamente, è un’autonomia funzionale del territorio, così come lo sono le Università e le Camere di Commercio. Come la Fiera hanno un ruolo strategico per implementare la capacità delle imprese di vendere e innovare le merci. É giusta l’intuizione di percepirsi come una Fondazione di sviluppo. Solo tenendo assieme in un unico progetto le tre funzioni – del vivere in Lombardia, del produrre in Italia, del commercializzare nel mondo – si potrà dire che, come tutte le inaugurazioni, si inizia un esodo verso un altrove. Non un evento del presente.