
Con le fiere le città si fanno ricche
L’organizzazione delle fiere internazionali e la filiera “stretta” dei servizi prettamente complementari alle manifestazioni è un business che in Italia vale circa un miliardo di euro. A dirlo è Francesca Golfetto, docente dell’Università Bocconi e condirettore del Cermes, il cui “Osservatorio fiere” monitora il comparto. E aggiungendo l’intero ventaglio dei servizi turistici e non “acquistati” da espositori e visitatori stranieri, si può moltiplicare per una forchetta che varia da 3 a 12 volte (dipende dal comparto e dall’importanza della manifestazione) il fatturato degli organizzatori.
Questa formula vale per le grandi fiere di respiro internazionale organizzate in Italia, ma per Milano – il cui polo fieristico vale quasi la metà del mercato italiano ed è al secondo posto al mondo per superficie coperta alle spalle di Hannover – si può arrivare a un moltiplicatore di 15 volte. Nel caso di Milano il sistema fieristico porta alla città una ricchezza che si può stimare in 2,3 miliardi, di cui il 45% sono servizi acquistati dagli espositori e il rimanente dai visitatori.
La congiuntura. “Le fiere sono un grande veicolo per i servizi di una città – sottolinea Golfetto -, mentre per le Pmi che partecipano sono praticamente l’unico strumento di comunicazione business to business”. Sempre secondo i dati del Cermes-Bocconi, oscilla tra il 40 e il 70% il budget di comunicazione dedicato a fiere B2b delle imprese italiane.
A livello congiunturale sul comparto fieristico italiano si inizia a far sentire l’effetto del ciclo negativo che caratterizza l’economia e le vendite. “Ma le imprese italiane esportano in molti Paesi dove la congiuntura è positiva – continua la Golfetto -. Molte fiere avevano una lunga lista di espositori in attesa ma a livello europeo e con due anni di ritardo emerge la crisi di fondo del sistema fieristico”. Nel 2003 in Francia e Germania è stata registrata una leggera flessione, a cui si contrappone la crescita a due cifre (12,9%) della Spagna.
Non ultimo c’è un problema di domanda, perché a parità di budget gli espositori del manifatturiero vanno a esporre nei mercati emergenti come quelli dell’Est Europa e dell’Estremo Oriente. E così è aumentato l’impegno delle aziende nelle fiere extra-europee, con il 35-40% di partecipazioni all’estero.
La capacità di attrarre. Inoltre a livello europeo è aumentata l’offerta di manifestazioni e di spazi espositivi. Per esempio, in Germania, dove si concentrano quattro dei poli fieristici coperti più estesi al mondo, negli ultimi quattro anni la superficie coperta dei padiglioni è complessivamente cresciuta dell’8 per cento. Una concorrenza che fa diminuire la presenza espositiva ma soprattutto il numero di buyer e di visitatori qualificati, quelli a cui si rivolgono le aziende. Inoltre il moltiplicarsi di fiere “fotocopia”, rivolte allo stesso segmento merceologico, rappresenta un fattore di inefficienza, il cui rischio si trasferisce sugli espositori.
Invece gli organizzatori dovrebbero avere un maggiore orientamento al mercato, preoccuparsi di più dei “clienti dei loro clienti”. “Devono ricordarsi che “vendono” visitatori e che è questa la cosa che più interessa agli espositori – sottolinea la Golfetto -. Dunque devono passare dall’idea di vendere metri quadri a quella di spazi di comunicazione mirati a determinati target. La differenza, che da noi è un problema, è nelle infrastrutture d’accesso. In Italia avremmo bisogno di almeno due quartieri fieristici come quello di Milano, situati nelle aree di produzione industriale, dove nasce la domanda”.
Anche “last minute”. Senza dimenticare che anche le imprese pianificano sempre più last minute la partecipazione alle fiere. “Ormai tutto è last minute e le aziende snelle devono rispondere alle esigenze degli espositori”, afferma Claudio Sabatini, amministratore delegato del Gruppo Sabatini, specializzato nel business degli allestimenti nonché inventore del Futurshow, manifestazione fieristica con un taglio consumer che quest’anno sbarca a Milano dal quartiere fieristico di Bologna. “Quando nel ’96 abbiamo creato Futurshow – ricorda Sabatini – nessuno ci credeva. Ora siamo a Milano con una formula ancora più rivoluzionaria: un numero limitato di aziende, solo cento, che hanno a disposizione uno spazio espositivo di 70 metri quadri. E non si può pensare che ci sia solo uno spazio all’interno del recinto fieristico: il futuro lo si potrà toccare con mano in una serie di eventi collaterali sul territorio della città”.
La ricetta di Sabatini è semplice: “Futurshow è un progetto aperto alla città e per noi la fiera è un portale con tantissimi link sulla città”. Proprio come si è visto durante il Salone del mobile: una Milano che accoglie a porte aperte espositori e buyer, organizzando una serie di eventi e happening concentrati in vie e aree ristrette. Essenziale il rapporto con le istituzioni locali, che devono offrire un’accoglienza a 360 gradi, non solo turistica ma anche culturale. Il pensiero corre alla Scala, ai musei e a quant’altro Milano può offrire ai suoi ospiti d’affari. Ma non sempre succede: basti pensare che il Cenacolo chiude alle 18,30 anche in occasione delle grandi fiere internazionali.