Rassegna stampa

Clima mite e piogge esaltano il tartufo

«Per ogni euro di tartufo grattato in un ristorante di Langa, altri 20 euro vengono spesi sul territorio». Come dire che una coppia di turisti – il 42% sono stranieri, tedeschi e svizzeri soprattutto, con un +44% di presenze scandinave – che spenda 50 euro a testa nel prezioso tuber ne spenderà almeno 2mila durante i giorni di permanenza tra le colline, le vigne e i resort della provincia di Alba, Asti e Cuneo. Un sistema virtuoso, come spiega Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo.
È stata inaugurata ieri la consueta Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. Sei settimane, fino al 14 novembre, di mercati e degustazioni, ma anche mostre d’arte, spettacoli e convegni. E naturalmente la celebre asta e l’Alba White Truffle Award. It’s all about the king: il Tuber Magnatum Pico, il bianco pregiato di Alba o di Acqualagna. Una garanzia di qualità. E di provenienza? Mica tanto.
«È un po’ il segreto di Pulcinella: nessuno – continua Carbone – può garantire al consumatore l’effettiva provenienza dei tartufi, anche quando viene indicata la denominazione». “Merito” della finanziaria del 2006, che consente ai compratori professionisti di eludere la tracciabilità.
E l’appassionato della domenica che garanzie ha? Ci rassicura Antonio De Giacomi, Assessore al Turismo di Alba e Presidente dell’Ente Fiera: «Ci sono i giudici, che esaminano ogni tartufo che entra in Fiera, c’è il divieto assoluto di vendita sulle bancarelle, tranne per i venditori abituali con negozio, e abbiamo aperto lo sportello al consumatore, dove gli esperti possono dare tutti i consigli e i pareri del caso, anche contro eventuali sofisticazioni sul peso e sugli aromi».
Le previsioni non sono mai precise come per il vino, perché il tartufo «fa come gli pare», ma le temperature miti e i temporali di fine estate sono stati i presupposti ideali per qualità e quantità. Il borsino si sta infatti attestando ottimisticamente sui 250 euro l’etto, prezzo variabile in base alla pezzatura. Trenta quintali, forse, di produzione totale per una media di 2.500 euro al chilo, fanno quasi dieci milioni di euro di compravendita nel corso della stagione. Il prossimo 15 ottobre le 50 Città del Tartufo discuteranno di tutela delle zone tartufigene e di biodiversità, per ricordare che «Per fare un tartufo ci vuole un albero»: nessun altro prodotto della natura è così indipendente dalla mano dell’uomo e così marcatore dell’ambiente.
«Ecco perché una denominazione di origine protetta – sottolinea Andrea Alciati del ristorante Guido da Costigliole di Santo Stefano Belbo, icona dell’alta cucina piemontese, 100mila euro all’anno di tartufi acquistati – non avrebbe senso. La qualità può variare sotto ogni singolo albero, e nemmeno il degustatore più bravo può dire di riconoscere con certezza la provenienza, salvo che i tartufi non vengano dai Balcani. La varietà è più importante dell’origine».
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