
Cercola: Mostra, un trampolino per le fiere
Uno start up per le nuove fiere: è l’idea di Raffaele Cercola, appena rieletto al vertice della Mostra d’Oltremare dopo aver chiuso, per il terzo anno consecutivo, il bilancio dell’ente in attivo. Domanda. Di che si tratta, presidente Cercola? R. Lo start up per nuove fiere sarà un incubatore per favorire nuove idee, una volta realizzato il Polo fieristico alle porte di Napoli voluto dall’assessore Cozzolino. Una manifestazione che parte dal nulla non può pensare di presentarsi d’emblée al pubblico di un polo fieristico dalle grandi dimensioni. Meglio partire dal piccolo per poi eventualmente spiccare il volo. Domanda. Presidente, partiamo dall’inizio. Alla Mostra lei esordisce nel ’98. Due nomine governative per guidare l’ente, poi nel 2001 la trasformazione in società per azioni e da allora una lunga presidenza rinnovata per altri tre anni sabato scorso. Qual è il segreto della sua gestione? Risposta. L’efficienza. Gestiamo un ente pubblico con criteri privati e quindi, prima di tutto, abbiamo dato un taglio netto agli sprechi. E i risultati si vedono: per il terzo anno consecutivo presentiamo nel bilancio d’esercizio un utile di gestione pari a 300 mila euro. Ma soprattutto ci guida, e ci premia, una grande progettualità. Nei prossimi tre anni diventeremo un grande cantiere o, come, ci ha definito il ministero dei Beni culturali, “il più grande cantiere di restauro in Italia dell’architettura contemporanea” D. Come sarà la Mostra fra tre anni? R. L’elenco dei progetti in cantiere prevede un grande albergo, il centro congressi, da realizzare nella struttura dell’ex Isef, con una sala grande da 1.200 posti, più altre sale più piccole per duemila posti. Annesso un parcheggio da 200 posti, un ristorante congressuale per mille persone, al piano di sopra, e uno più piccolo, da cento posti. In più recupereremo il palcoscenico del teatro Mediterraneo. D. Quello che c’è non va bene? R. Quello che viene usato oggi è semplicemente la copertura della fossa orchestrale: alle spalle ci sono 600 metri quadrati. Con lo stanziamento della Regione, di 300 mila euro, che andranno ad aggiungersi ai nostri centomila euro, avremo un vero, grande palco e i camerini per gli artisti. Ma non è tutto. D. Che cos’altro ha in mente? R. Sempre con fondi regionali, trasformeremo la Torre delle Nazioni in un Palazzo dei musei. Otto piani da destinare al museo della fotografia, del design e uno dedicato alla storia della Mostra. I padiglioni piccoli, il 7 e l’8, invece, ospiteranno il museo dell’architettura. D. Lei preme l’acceleratore sulla cultura. Un modo per difendersi dalla nascita del polo fieristico che l’assessore Cozzolino vuole realizzare alle porte di Napoli? R. Un modo per fonderci, direi, nel grande sistema fieristico regionale previsto dal disegno di legge messo a punto a luglio scorso dall’assessore alle Attività produttive. Anche quello è un grande progetto: un’area espositiva di oltre 80mila metri quadrati da ubicare con molto probabilmente nell’area di Afragola, vicina all’aeroporto, allo svincolo autostradale e all’Alta velocità. Ma ne sapremo di più il 2 e 3 aprile, in occasione degli Stati generali delle Attività produttive, che ospiteremo proprio qui in Mostra. D. Come si divideranno le fiere queste due strutture? R. Al nascituro polo fieristico andranno le fiere business, da noi le fiere consumer, quelle cittadine, per intenderci, che puntano non solo o non tanto sui grandi buyers, ma sui semplici cittadini. Penso al Pizzafest, alla Fiera della casa, al Tutto Sposi. E qui si inserisce l’idea dello start up per le nuove fiere. D. Oggi quanti eventi proponete all’anno? R. Facciamo 32 fiere all’anno, siamo secondi, in Italia, solo alla Fiera di Milano. In più ci sono i congressi. In media, ogni anno, la Mostra conta un traffico di circa due milioni di persone. D. Alcune manifestazioni, però, le avete perse per strada… R. Sì, Galassia è andata via un paio di anni fa. Ma lì, purtroppo sono stato categorico: sconti a nessuno, altrimenti l’efficienza e il rigore di cui parlavamo vanno a farsi benedire. E poi abbiamo perso anche Napolifilieramoda, una mia creatura, di cui abbiamo ceduto il marchio, per 30 mila euro, alla Planning. Ma non sta andando bene come meriterebbe. Peccato, i marchi sono importanti, valgono molto. Penso a Capri Moda Mare detenuto dalla famiglia Luongo di Casartigiani. Quello vale un patrimonio, tant’è che i privati non sono riusciti a prenderlo. Solo la Regione può avvicinarsi, D. Come si misura il successo di una manifestazione? Con il numero di visitatori? R. Questo è un parametro importante, ma va letto con attenzione. La settimana scorsa sono stato nominato presidente dell’Istituto di certificazione dei dati fieristici, un Istituto nazionale che fa capo a Confindustria, Confartigianato e Unioncamere. Attestiamo i dati e garantiamo trasparenza al settore. Per me, ci vorrebbero i tornelli pure alle mostre: non è serio conteggiare anche le scolaresche in gita. O meglio, vanno conteggiate anche le lunghe file di scolaretti portati mano nella mano dalle maestre, ma bisogna tenerli ben differenziati dai visitatori paganti. D. Quindi le presenze non vanno solo contate, vanno pesate? R. Sì, è questione di credibilità. I numeri sono importanti e lo saranno ancora di più quando il Consiglio regionale approverà la proposta di legge sulle fiere, già approvata in Giunta, che stabilisce un principio chiaro: non un soldo, né il patrocinio per chi non certifica la fiera. Trasformare questo principio in legge aiuterà il settore. D. Per quali manifestazioni, crede, siano stati “gonfiati” i dati? R. Penso al Sea Trade, realizzata al porto, o anche ad Agricoltura, fatta a Città della Scienza. Le cifre fornite mi sembra che vadano oltre la capacità di quei luoghi a contenere il numero di persone denunciato. D. Vecchia ruggine con Città della Scienza? R. Quando a guidarla c’era Luigi Nicolais avevamo istaurato un ottimo rapporto, niente guerra. Oggi non c’è molta chiarezza e fino a che noi non cresceremo, con il nostro parco congressi, un po’ di concorrenza c’è, inutile negarlo. D. Come coniuga i progetti di sviluppo della Mostra con l’intera area ovest di Napoli? R. Faccio parte di un gruppo di lavoro, composto dalle facoltà di Economia e Architettura della Seconda Università di Napoli, i giovani dell’Acen e alcuni architetti, per mettere a sistema l’area che va dalla Mostra al mare di Bagnoli. D. Che cosa avete in mente? R. L’idea è di mettere a sistema la Mostra, l’Edenlandia, il cinodromo, il palazzetto dello sport, il cinema multisala, fino ad arrivare alla Nato. Pensi che bello, un grande boulevard, una rambla che dalla Mostra porta diritta al mare. D. Rubate il mestiere agli urbanisti? R. Per carità, il nostro studio di fattibilità è un progetto di marketing territoriale. Nessuna invasione di campo. D. Qual è il modello di riferimento? La rambla, Barcellona? R. Guardiamo alle città europee di medie dimensioni. Barcellona è una delle ipotesi. Stiamo analizzando anche il caso Lione, che ha fatto dell’attività congressuale una priorità. Sul tappeto c’è, però, anche Marsiglia: questa città ha uno sviluppo diverso da Barcellona, dove grandi eventi internazionali hanno apportato salutari scossoni urbanistici. Marsiglia tutto questo non ce l’ha, eppure è in costante cambiamento. In ultimo, stiamo analizzando anche il caso Basilea, che sta legando il proprio sviluppo soprattutto al terziario avanzato. D. Lei si sta battendo perché Napoli ospiti l’organizzazione del Forum universale delle Culture del 2013. Perché? R. E’ un’occasione di prestigio che non possiamo farci scappare. Ma ho anche una altro sogno: quando la Nato, come previsto, libererà il cosiddetto complesso Ciano, trasferendosi entro il 2010 a Giugliano, si potrebbe realizzare un grande complesso residenziale/formativo: i ragazzi, sul modello americano, studierebbero l’ospitalità da esercitare nella stessa area residenziale. D. I suoi sogni non si infrangono contro le lungaggini di Bagnoli? R. Io faccio un discorso molto semplice: tra Mostra, Agnano e Bagnoli, parliamo di 7 milioni di metri quadrati, di cui cinque fanno capo a un soggetto pubblico. Il pubblico, a differenza del privato, ha tutti gli strumenti per intervenire, può fare grandi cose. In mano agli americani quest’area risorgerebbe. Ci possiamo riuscire anche noi.