
Cala l’export dell’oro ma Vicenza fa il pieno
Non c’è uno stand libero a Vicenzaoro1, la rassegna dell’oreficeria che apre i battenti domenica alla Fiera di Vicenza, eppure il settore, nel quale l’Italia vanta una consolidata leadership, continua a zoppicare. Le esportazioni, secondo le anticipazioni fornite da FieraVicenza, sono calate del 5,4% nei primi nove mesi del 2005 rispetto allo stesso periodo del 2004.
«Sono ormai tre anni che il segno è negativo – commenta Stefano De Pascale, direttore di Federorafi – e non si può certo non parlare di crisi strutturale. Non è che l’oro o i gioielli non piacciano più, negli Usa, uno dei nostri maggiori mercati di sbocco, i consumi sono in continua crescita. Il problema è che il prodotto italiano fa sempre più fatica perché ha prezzi più alti rispetto ai tanti Paesi concorrenti low cost, perchè deve subire penalizzazioni di dazi e perchè non ha ancora trovato tutela al suo made in. A metà dicembre è passata a Bruxelles la proposta, da noi fortemente sostenuta, dell’obbligo di indicare l’origine extra Ue per un pacchetto di prodotti ma se tutto va bene diventerà operativa fra un anno e non è certo la panacea di tutti i nostri problemi. Per fortuna, negli imprenditori c’è una straordinaria voglia di continuare a reagire: credono nelle aziende, cercano strategie di marketing comune, si vede anche qualche accorpamento per raggiungere una dimensione più competitiva. Il settore non subisce la crisi ma sta cercando di cavalcarla per uscirne al meglio».
Quel 5,4% di caduta media dell’export media in realtà fra perdite molte pesanti registrate negli Usa, con il -17,9%, ed in Europa, dove il calo è stato del 12%, le flessioni più contenute di Cina e Giappone ed un recupero invece sui mercati di Singapore, Thailandia e Filippine che porta l’area asiatica a chiudere con l’unico segno positivo (+6,6%).
Gli operatori reclamano azioni più forti su quelli che sono ormai i riconosciuti talloni d’Achille dell’oreficeria italiana. Maurizio Bertoncello, amministratore delegato di Chimento, attende al varco i «falsari». Ha già bloccato e fatto sequestrare nelle edizioni del 2005 interi campionari di ditte turche e tailandesi copiati dalle collezioni Chimento. «Ma quelle ditte tornano anche in questa Fiera perchè non ci sono gli strumenti per fermarle – accusa -. L’ente Fiera attende un giudizio della magistratura ma l’iter anche per gli speciali tribunali che si occupano dei marchi e dei brevetti sono lunghissimi quando c’è di mezzo un’azienda straniera. Noi abbiamo tenuto perchè abbiamo un marchio forte – conclude – ma chi opera senza brand deve fare i conti con questo fenomeno dilagante oltre che con il prezzo dell’oro balzato alle stelle e i dazi».
«È fuori del tempo parlare di protezionismo – ribadisce Tranquillo Loison, titolare della Linea Italia – ma il vero problema è proprio questo, il made in Italy deve diventare il nostro vero marchio comune se vogliamo continuare a lavorare. Purtroppo noi imprenditori siamo costretti a viaggiare a mille per affrontare il mercato mentre i politici che decidono hanno tempi ben diversi. In ogni caso non molliamo: vedo colleghi imprenditori che investono in proprio nelle aziende e questo anche se il prezzo dell’oro e i cambi altalenanti rendono impossibile ogni programmazione e le banche non tardano a chiedere la copertura dei finanziamenti».