Rassegna stampa

Buyer market a Frieze

Lontani dai volumi di vendita del 2007, ma in rialzo rispetto allo scorso ottobre, Frieze a Londra riconferma il suo status di evento clou per chiunque si occupi di arte contemporanea. È vero, il numero di gallerie nella sezione principale è sceso da 150 a 135 rispetto al 2008 – il costo dello stand può arrivare a 28mila £, cifra per alcuni troppo alta quando ci si aspetta un turnover più limitato –, e le vendite al di sopra del milione sono più rare, ma già durante le prime ore di inaugurazione i galleristi si dichiaravano soddisfatti e registravano le prime vendite. Da Houser & Wirth il dipinto «Mona Lisa» di Ida Applebroog ha trovato un compratore per 325mila $, come anche le tre piccole versioni della scultura in bronzo di Subodh Gupta’s «L.H.O.O.Q.», vendute per 120mila l’una. Da Lisson Gallery una scultura di Anish Kapoor, «Turning the World Upside Down» da 475mila £ (759mila $) ha ricevuto tre riserve e la scritta al neon di Jonathan Monk del 2009 «Do not pay more than $20.000» veniva venduta a poco meno.
Da White Cube una fotografia da una edizione di sei di una vetrata medioevale di Andreas Gursky’s «Kathedral I» (2007) era offerta a 750mila $, mentre collezionisti più orientati verso nomi non troppo noti si sono assicurati per 12-20mila £ ben metà dello stand di sculture di Daniel Silver in mostra nella più giovane galleria Ibid. L’interesse di questa 6ª edizione della fiera non sta nei numeri da capogiro, ma nell’essere un eloquente punto di osservazione per capire come il mercato dell’arte si stia ristrutturando per adattarsi ai cambiamenti economici del l’ultimo anno.
I trend più evidenti: un’arte più lontana dall’effetto «sensation» e dalla voglia di stupire a tutti i costi, che ha imperversato negli ultimi anni, a favore di un’arte più contemplativa, sottile e impegnata, forse anche più piacevole. Meno video e installazioni e più dipinti, fotografie, sculture e opere su carta. Aggiunge Massimo De Carlo, come ogni anno a Frieze: i «venti da Est sono in diminuzione». L’interesse per opere di artisti giovanissimi dagli alti prezzi, grazie ad un uso strategico dei media, si è ridotto e si registra una predilezione per artisti che hanno costruito la loro carriera gradualmente, sostenuti da network di collezionisti. Simbolo di questa forza è John Baldessari, che dopo i recenti riconoscimenti alla 53ª Biennale di Venezia, ha appena inaugurato una retrospettiva alla Tate Modern (fino al 10 gennaio) oltre alla mostra nella londinese Spruth Magers, galleria che presenta le sue opere in fiera. La ritirata di 28 gallerie presenti nel 2008, per lo più americane più compromesse con la crisi, ha lasciato spazio all’ingresso di 22 nuovi mercanti nella parte principale e alla creazione della nuova sezione «Frame». Qui a 29 giovani gallerie – aperte da meno di 6 anni – è stata data la possibilità di affittare uno stand al 67% del prezzo e presentare un solo artista, con un effetto mostra: l’attenzione si è concerta sull’arte più che sulla vendita. Sei di queste gallerie sono state promosse da Zoo, la fiera dedicata ai giovani galleristi trasferita da quest’anno nell’East End. Le altre fiere, Scope, Red Dot, Pulse e Bridge, proliferate dal successo di Frieze, sono svanite ad eccezione della fiera del design in Berkeley Square, oggi Pavillion of Art and Design.
Il collezionista che sino a ieri comprava bulimicamente arte con la stessa velocità e giudizio con cui faceva trading sulle azioni sembra una rarità, prevale la figura del collezionista appassionato d’arte e dai tempi più saggi. E se prima passare il severo esame di un gallerista per assicurarsi un’opera di serie A non era facile, oggi nello stand di White Cube per un lavoro di Tracey Emin basta disporre di 60mila £ e rispondere a 15 domande tipo «quanti anni hai» o «credi in dio». A conferma che il mercato del contemporaneo oggi è un buyer market con nuove regole, ma vitale come sempre.

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