
Borgato: «Il ramo fiere va ceduto»
Il Censer vorrebbe liberarsi del ramo fiere, ma ancora mancano le condizioni per farlo. Lo ha dichiarato il presidente Massimo Borgato alla I commissione consiliare convocata ieri per fare il punto della situazione sulla società immobiliare. «All’ultima assemblea dei soci ho proposto di cedere Rovigo Fiere alla nuova società Rovigo Expo formata dalla Regione, Camera di commercio e associazioni di categoria. Mi stupisce la reazione del presidente Zampini». Un’uscita quella del numero uno dell’ente camerale che ha lasciato basita la maggioranza in Comune, soprattutto il sindaco Fausto Merchiori: «Si deve smettere di gettare fango sulle istituzioni. Abbiamo investito poco sul Censer? Più di così non credo si potesse. La distinzione dei ruoli tra immobiliare e settore fiere è fattibile solo se non si scaricano tutti sul Censer i costi di gestione e gli oneri degli ammortamenti dei mutui – afferma il primo cittadino -. Invece mi sembra si voglia fare il contrario, lasciando la redditività delle fiere solo in capo a Rovigo Expo». Merchiori ricorda che l’idea di scorporare il ramo fiere dal Censer era già stato ipotizzata e concordata ai tempi della gestione di Giuliano Ferraccioli. Il problema a questo punto è puramente economico e non di volontà politica. Se si volessero quantificare l’affitto del settore espositivo e i costi di ammortamento servirebbero tra i 500 e gli 800mila euro l’anno, una cifra improponibile per la neonata Rovigo Expo. Una questione di scelte, tuonano i consiglieri di Forza Italia Paolo Avezzù e di Alleanza Nazionale Flavio Mancin. «In questa riunione di commissione non si sono visti i numeri prodotti dalle fiere – afferma quest’ultimo – e intanto le passività del Censer continuano a trascinarsi negli anni per un problema di mancanza di decisionismo». Passività che, fa notare invece il presidente Borgato, sono diminuite negli ultimi tre anni da 1 milione e 350mila euro a 680mila di quest’anno. «Non dobbiamo dimenticare – si aggiunge il consigliere dei Ds Luigi Osti, ex presidente del Censer dimessosi qualche mese fa – che per statuto il Censer è un’immobiliare e che con un investimento di 3 milioni di euro da parte degli enti pubblici, sfruttando fondi europei e regionali, oggi può contare su un patrimonio di oltre 41 milioni di euro. La sua funzione l’ha svolta eccome e molto bene. La decisione di utilizzare gli immobili per le fiere era finalizzata a pagarne i costi di gestione». Poi lancia la sua accusa a chi ha puntato il dito contro la società. «Semmai a non svolgere il proprio ruolo sono state proprio la Camera di commercio e l’associazione Industriali, soci del Censer, che non hanno saputo fare impresa, inventandosi poi, per incapacità o per ragioni politiche, una società fiere non da mettere al servizio dell’immobiliare ma in contrapposizione con quella già esistente. Noi abbiamo cercato nuove vie, come l’acquisto di altri terreni per dare la possibilità ai soci pubblici di evitare di pagare ulteriori aumenti di capitale, allungando pure i tempi degli ammortamenti da 30 a 50 anni, perché consentito dalla legge e diminuendo la rata». Infine la puntualizzazione contro le associazioni di categoria, contro cui Osti si scaglia per le critiche mosse nei confronti degli aspetti organizzativi e qualitativi delle esposizioni. Posto che forse in termini di pubblico la fiera delle parole e dell’elettronica ha avuto più successo di Rovigo Espone, l’ex presidente evidenzia come anche i prezzi degli spazi affittati dalle associazioni sono stati di favore, praticamente meno della metà di quanto previsto per pareggiare i costi di gestione e di ammortamento. Federica Broglio