
Benchmark Germania
In Europa vi sono due modelli prevalenti di fare le fiere business (per operatori). Si distinguono infatti le “fiere per la domanda locale (o dell’importazione)”, caratterizzate da una elevata quota di produttori internazionali tra gli espositori, ma da prevalenza di acquirenti nazionali/locali tra i visitatori; vi sono inoltre le “fiere dell’offerta locale (o dell’esportazione)” che sono invece caratterizzate da prevalenza di produttori nazionali/locali tra gli espositori, ma da ampie quote di acquirenti internazionali tra i visitatori. Questi due modelli nascono di fatto da filosofie molto diverse, che tuttora contraddistinguono l’impostazione anche competitiva delle principali fiere europee.
Le fiere della domanda corrispondono all’impostazione dominante, che ha caratterizzato soprattutto i quartieri-organizzatori tedeschi. Questi organizzatori sono orientati a supportare il territorio locale attraverso l’indotto di servizi turistici generato dalle fiere e pertanto hanno sempre invitato alle loro fiere produttori di tutti i paesi e di tutti i livelli qualitativi di prodotto per ciascun settore considerato, al fine di presentarli alla domanda del loro paese e dei paesi limitrofi. La disponibilità di grandi superfici espositive oltre all’eccellente accessibilità di location come Francoforte, Düsseldorf, Monaco, hanno fatto sì che il bacino visitatori di queste fiere divenisse di fatto l’intera Europa: e così le manifestazioni tedesche hanno ottenuto rapidamente – e tuttora detengono – elevatissime quote di utenti extra-europei dal lato degli espositori ed elevatissime quote di utenti esteri intra-europei dal lato dei visitatori. Di fatto, oggi costituiscono le fiere della domanda europea, ossia le fiere che presentano ai nostri mercati i produttori extra-europei, in primis quelli asiatici.
Le fiere dell’offerta sono quelle che fino a oggi hanno meglio rappresentato il modo di fare fiere in Italia. Nel nostro paese, infatti, sono state soprattutto le associazioni dei produttori a dare avvio alle principali manifestazioni specializzate. Il loro obiettivo era soprattutto quello di supportare l’industria nazionale e conseguentemente vi era una scarsa apertura nei confronti di espositori esteri, mentre si volevano raggiungere soprattutto i buyer internazionali. Le difficoltà non sono state poche per le fiere che hanno cercato di affermarsi con questo modello: oltre a soffrire di una accessibilità geografica molto inferiore a quella dei quartieri tedeschi, per le nostre fiere c’era anche la necessità di offrire sempre qualche cosa di speciale, che controbilanciasse per i visitatori la fatica di affrontare un viaggio per vedere di fatto l’offerta di una sola nazione, mentre altrove si poteva avere una visione molto più ampia e variegata. Per contrastare tale debolezza, molte manifestazioni nel tempo hanno messo a punto sofisticate strategie di creazione di valore: investimenti nella ricerca sulle tendenze di mercati e delle tecnologie, selezione e incentivazione degli espositori con maggiore capacità innovativa, iniziative culturali legate al settore, e così via fino a realizzare veri e propri progetti di ricerca e sviluppo collettivi. Alcune comunque, hanno anche aperto le porte a limitati numeri di espositori esteri, con qualità di prodotto allineate a quella italiana: anche l’impiego oculato dei leader esteri può costituire una strategia di aumento di valore per l’offerta nazionale.
Evidentemente questo modello richiede unità di intenti e collaborazione tra i diversi produttori nazionali: alcuni infatti hanno saputo mettersi insieme e fare delle manifestazioni un luogo di sviluppo di strategie di marketing collettivo. Il risultato è stato uno stimolo all’avanzamento di tutto il gruppo di produttori e la capacità della manifestazione di indirizzare la domanda internazionale. È un esempio di questa capacità il Salone del Mobile che, mentre all’inizio ha stimolato la produzione di innovazione da parte dei mobilieri italiani, ha in seguito contribuito all’affermazione del design italiano nel mondo e oggi viene considerato da tutti i maggiori buyer internazionali il luogo in cui si creano le tendenze in fatto di design e arredamento. Gli studiosi hanno anche dimostrato come questo tipo di manifestazione (distretti di commercializzazione) sviluppi apprendimento soprattutto nel campo della commercializzazione e delle relazioni con il mercato, complementando per molti versi l’apprendimento e la collaborazione che si sviluppano per le imprese all’interno dei distretti di produzione.
Vi sono vari altri settori del manifatturiero italiano in cui si trovano simili esempi di eccellenza: nella moda, nell’arredamento, in vari comparti dei macchinari industriali, eccetera. molti organizzatori con i relativi espositori stanno lottando uniti per mantenere la visibilità della loro industria. Per contro, in altri settori, la separazione dei vari gruppi distrettuali e delle rispettive manifestazioni ha portato l’indebolimento del l’intero comparto e la definitiva vittoria delle più efficienti manifestazioni estere e dei relativi espositori. Perché, di fatto le fiere – in quanto strumenti di azione collettiva – non hanno solo la capacità di rappresentare il “field” ma anche quella di influenzarne l’evoluzione.
E ora che la globalizzazione sta portando inevitabilmente i nostri produttori a esporre sempre più a fiere estere, lontane dalle aree di produzione e fuori dal controllo delle associazioni nazionali? Si possono fare anche in quegli ambiti delle azioni che in qualche modo ripropongano i successi di certe fiere dell’offerta? La risposta è positiva, a patto che le partecipazioni fieristiche vengano interpretate non come spazio per collettive in cui in cui gli espositori delle stesse industrie sono solo fisicamente vicini, ma come strumento per il “marketing collettivo”, in cui la collaborazione emerge da progetti specifici. Progetti specifici sono quelli che fanno sì che nella manifestazione si affermi un certo gruppo, così come, ad esempio, hanno fatto gli italiani partecipando alle scelte politiche (a volte a proprio favore) delle tendenze di moda presso Premiére Vision, o partecipando ai gruppi di definizione degli standard dei macchinari industriali presso alcune manifestazioni tedesche, o più semplicemente dandosi degli indirizzi comuni nella presentazione dei prodotti negli stand. Data la crescente partecipazione a fiere estere da parte dei produttori nazionali, organizzare tali partecipazioni in ottica di marketing collettivo costituisce la sfida che dovranno affrontare i nostri organizzatori nei prossimi anni. Questo significa che il loro lavoro non dovrà certamente limitarsi al brokeraggio di spazi espositivi, ma che dovrà essere un sofisticato lavoro di orchestrazione del “made in” e dei gruppi di espositori che vorranno affermare i loro stili di produzione e i loro prodotti verso altri.
Francesca Golfetto è ordinario di marketing e direttore osservatorio Fiere Cermes-Bocconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I NUMERI
-13,5%
Aree locate
Variazione percentuale dei mq coperti attrezzati nelle manifestazioni internazionali che si sono svolte in Italia nel 2009 rispetto al 2008. Si torna sotto i 4 milioni (3,93).
-7,4%
Espositori diretti totali
Siamo tornati sotto gli 80mila a quota 77.800.
-4,8%
Espositori esteri
-0,9%
Visitatori totali
Da 12,9 milioni sono scesi di poco, a 12,8 milioni.
-4,6%
Visitatori esteri
In questo caso si è passati da 1,08 a 1,03 milioni.
-22,2%
Aree locate
Nelle manifestazioni pluriennali le cose sono andate decisamente peggio rispetto all’andamento generale del settore.
-45,3%
Visitatori totali
È il calo maggiore in assoluto e si riferisce solo alle manifestazioni internazionali.