Rassegna stampa

Attenti all’uomo maiale

di Gabi Scardi

A Shanghai «ShContemporary» e «Translocalmotion», una fiera e una biennale, inaugurano contemporaneamente e catalizzano attenzione internazionale sull’arte asiatica: un fenomeno che dieci anni fa sarebbe stato impensabile.

Dopo i primi artisti espatriati negli anni Ottanta – Chen Zen, Wang Du, Huang Yong-Ping – molti altri, residenti in Cina o fuori, cominciano a entrare in collezioni e mostre maggiori, veicolati da gallerie europee e statunitensi. Nel 1999 la biennale di Venezia di Harald Szeeman sorprende tutti con un inatteso pullulare di artisti cinesi, ma in effetti non fa che sancire un fenomeno in corso. È stato il mercato occidentale, alla ricerca di nuovi nomi e di nuova linfa, a far esplodere l’arte cinese e poi asiatica nel mondo. Oggi il fenomeno ha raggiunto livelli estremi, con opere dalle quotazioni stratosferiche e probabilmente alla lunga insostenibili. Ma ora i collezionisti europei e americani sono affiancati da compratori giapponesi, di Taiwan, di Hong kong; mentre cinesi e indiani si stanno affacciando e, in paesi in cui tutto risulta amplificato, preannunciano eccezionali potenzialità. Sinora, come tutti i neo-collezionisti, si sono rivolti prevalentemente ad artisti del loro paese, in cui si riconoscono più facilmente, ma prossimamente guarderanno anche ad altro. Per questo già ora in Cina, e presto in India, si stanno trasferendo da tutto il mondo gallerie autorevoli: tra le ultime James Cohan a Shanghai, Pace e Michael Schultz a Pechino.

Questo quanto emerge con evidenza dalla fiera di Shanghai, nata per catalizzare scambi tra est e ovest: 120 gallerie da 26 paesi diversi, circa metà di area asiatico-pacifica, l’altro 50% da Europa e USA, più gli «Outdoor Projects» e la sezione «Best of Discovery» con 31 artisti ancora poco noti selezionati da 11 curatori coordinati da Huang Du. Il tutto organizzato da BolognaFiere in collaborazione con il lungimirante Lorenzo Rudolf, già direttore di ArtBasel. Gallerie italiane presenti: Continua, Massimo De Carlo, Marella, Giorgio Persano, Perugi, Photology, Poggiali e Forconi.

Sede di per sé eloquente di ShContemporary: il monumentale ma délabré Shanghai Exhibition Center che Stalin fece edificare per Mao. Il panorama artistico risulta composto da artisti che avanzano con una forza massiva, occupando lo spazio con opere eclettiche, appariscenti, di grandi dimensioni. Opere che colpiscono con inusitata aggressività e risultano poco confortevoli al pubblico occidentale; che dicono una società in velocissima metamorfosi, che si appropria di tutto senza il tempo di assimilare e non immagina cose fatte per durare. All’artista non resta che colpire sul momento. L’arte è un prodotto da consumare, una questione di life-style; non a caso diversi artisti asiatici, raggiunto il successo, hanno assunto atteggiamenti da star dello spettacolo.

Così l’arte esprime l’Asia di oggi e il suo impressionante slancio in avanti. Ma questa non è l’unica Asia.

Ce n’è un’altra, che si rappresenta nella Biennale, «Translocalmotion» (fino al 16 novembre), centrata sulla città che la ospita, Shanghai, e per estensione sull’idea di urbanizzazione. È una Cina altrettanto dinamica, altrettanto attratta da modi e linguaggi sviluppatisi altrove. Ma meno cinica e più critica, più interessata ad analizzare lo stato e gli effetti dei processi di modernizzazione e internazionalizzazione del paese. Sebbene gli artisti siano talvolta gli stessi presenti in fiera, pratiche locali e influenze globali, fusione e assimilazione, contraddizioni e conflitti emergono nell’insieme grazie alla forte tenuta della visione curatoriale (affidata al team Zhang Qing, Julian Heynen, Henk Slager) che prende avvio dall’emblematica storia della Piazza del Popolo, fulcro pulsante di una Shanghai da sempre cosmopolita, per poi allargarsi e considerare la città intera, quindi il paese, e guardare infine a fenomeni legati alla multicultura e alle migrazioni.

Due visioni complementari, inseparabili, che fanno un’unica Cina, dinamica, affascinante, drammatica; proiettata in avanti e ansiosa di conoscenza, come dimostrano le code di giovani visitatori all’ingresso della Biennale. Capace di vivere il suo straordinario sviluppo all’ombra di uno stato che ha avuto l’ingenuità di censurare una delle opere più note ed attese della fiera, i maiali tatuati che Wim Delvoye da anni fa allevare in Cina e a cui deve successo e notorietà internazionali. Mentre la sua performance con un uomo ugualmente tatuato è passata inosservata. E un mostruoso uomo-maiale, opera di Chen Wenling giganteggia tra una folla di accoliti al centro della sezione più propositiva della fiera, Best of Discovery, grottesco e spaventoso al limite del guardabile.

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