Rassegna stampa

Art Basel il mercato dei giganti

Va tutto bene. Le Bmw per i vip sono parcheggiate davanti alla fiera di Basilea a mostrare la loro forza d’immagine, a un passo dall’edificio centrale e a cento metri dal palazzo fucsia con prato finto che ospita le iniziative collaterali. Il mercato dell’arte è ritornato ai suoi vertici storici, nonostante qualche incertezza sulle nuove proposte. Alla quarantaduesima edizione di Art Basel – la fiera di contemporaneo più significativa del mondo – cresce tutto: numero dei visitatori, quello dei compratori, la parte dedicata al design, la fiera Liste – alla sua sedicesima edizione – che da rifugio dei rifiutati è diventata il vero luogo delle proposte.
A Basilea si palesano i meccanismi di promozione che reggono anche le mostre non commerciali. Per qualcuno la cosa è volgarmente esplicita, per altri invece si fa finalmente chiarezza. Per esempio, perché al momento ci sono in Italia ben tre mostre dedicate all’anglo-indiano Anish Kapoor, artista sempre d’effetto ma da anni non più innovativo, il cui lavoro strappa sempre il consenso anche di chi non sa niente di arte contemporanea per il suo gioco sui fenomeni percettivi? Chiaro. Le gallerie che ne vendono le opere stanno facendo un’operazione di crescita delle quotazioni, e infatti riempiono i loro stand di sue opere. Questo rilancio non può prescindere da una rinfrescata alla fortuna critica. È quanto accade quando in un mercato maturo si arriva al prodotto “cow”, ovvero un classico e non più una promessa, che va sfruttato prima di diventare scontato. Non significa che non si stia parlando d’arte: in quelle opere c’è sapienza formale, c’è cultura e nulla toglie al lavoro il suo valore spirituale. Resta il fatto che questo è il momento in cui premere sulle vendite.
Capita in ogni sorta di ambito culturale, del resto, dalla musica al teatro alla letteratura: l’editoria è uno dei campi più feroci in questo senso, con pressioni sugli autori trainanti e disperazione di chi non riesce a pubblicare il primo romanzo perché non supera la barriera d’accesso. Ma le operazioni promozionali delle case editrici si vedono meno che nell’arte visiva e quindi fanno (un po’) meno rumore.
Per sapere su quali nomi si sta puntando è di rigore vedere la sezione «Unlimited», quella in cui le gallerie più potenti si fanno carico di produrre opere enormi o vere mostre personali dei loro artisti più cool: Hauser & Wirth di Zurigo con David Zwirner (le alleanze sono sempre più frequenti) insistono sull’artista Jason Rhoades, di cui ci accolgono cascate di parole al neon che pendono dal soffitto; sempre Hauser & Wirth, ma questa volta di New York e insieme a Johann Koenig di Berlino, presentano David Zink Yi la cui opera occupa il pavimento: è un gigantesco calamaro realistico che sta accasciato in una pozzanghera come se fosse appena stato pescato. Sean Penny di New York si associa con la Frith Street di Londra e (ri)propone un artista un po’ passato in cavalleria, Callum Innes, vivificato da Colm Tòibìn e da un doppio registro di acquarelli monocromi e di citazioni letterarie.
La Andrew Kreps Gallery di New York porta un enorme arazzo – un bosco in bianco e nero su cui campeggiano volti dell’arte e non, tra cui un compiaciuto Marcel Duchamp – della neostar Goshka Macuga: reduce da successi critici alla Whitechapel di Londra e da un acquisto importante al Castello di Rivoli, sa che avrà un ruolo significativo nella mostra quinquennale Documenta il prossimo anno.
Il suo paese d’origine impazza, dimostrando come è l’Europa dell’Est ad avere al momento più energia di India, Cina e Brasile messe insieme: dalla Polonia arriva anche Katarzyna Kozyra, anche se con un’opera video alquanto antica (1999-2002), così come alla Biennale di Venezia era arrivata Monika Sosnowska come autrice di un “parapadiglione”. E il capitolo delle relazioni, appunto, tra Art Basel e le Biennali sarebbe molto gustoso, considerando come le opere importanti in queste ultime mostre “non commerciali” vengano in effetti promosse e prodotte quasi sempre da chi si occupa anche delle vendite.
Questa logica è talmente inevitabile che a volte si ha voglia di guardare altrove, per esempio al piano terra di Art Basel, dove da sempre trovano albergo le proposte più storiche e meno sensibili ai mutamenti delle mode. Coerente come un orologio svizzero, Denise Rene propone opere di Jesus Raphael Soto e altri artisti cinetici; tra i Picasso più o meno mozzafiato troviamo una collezione di disegni appartenuta ad André Breton, che espone dai Picabia satirici fino ad alcuni Cadavres Exquis collettivi e che ci immette nella goliardia colta del surrealismo.
C’è poi la via di fuga più frequentata, quella che porta alla Fondazione Beyeler con Richard Serra e Constantin Brancusi o al Kunstmuseum di fronte alla Sposa nel vento di Oskar Kokoschka e mille altri capolavori. Illudendosi che per i grandi artisti non siano stati rilevanti i meccanismi di promozione e diffusione del nome, ma senza mai dimenticare che si tratta, appunto, di una finzione che serve a darci pace.
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