Rassegna stampa

Art Basel è poco Florida

di Anna Detheridge
Esistono delle parole che vengono soltanto sussurrate per evitare che contaminino l’aria, quali ad esempio “contrazione”, o peggio ancora, “crollo”. L’appuntamento di Miami Beach, che segue le aste autunnali in forte calo, è il banco di prova per lo stato di salute dell’arte contemporanea nel mondo, ma ancor di più misura la capacità di tenuta di un “sistema-città” che in solo sei anni dalla prima edizione di Art Basel a Miami Beach nel 2002 si è imposto come distretto dell’arte contemporanea. La fiera, infatti, è riuscita a fare da calamita per molti eventi e saloni paralleli, oltre a rivelare l’esistenza di una serie di collezioni private di grande qualità.
Dopo il settembre nero della Borsa, dominato dal crack di Lehman Brothers, e un quasi collasso dell’economia mondiale, le aste ottobrine di arte moderna e contemporanea di Christie’s e Sotheby’s hanno totalizzato la metà delle stime iniziali con circa un trenta per cento di invenduto. Nei saloni della Convention Centre di Miami Beach in questi primi giorni di dicembre, dove presenziano le grandi gallerie Lisson, Marlborough, Pace Wildenstein, Gagosian, Pat Boone, Marianne Goodman, Jeffrey Deitch, la maggior parte evita l’argomento, ma qualcuno come Jaime Riestra, direttore della galleria Omr di Città del Messico, invece, ammette la preoccupazione; tutti comunque hanno ridimensionato le aspettative. E se gli speculatori e i neofiti degli hedge funds ora latitano, molte in compenso sono le coppie attempate e ben calzate con aria da segugi che guardano da vicino con occhiali abbassati le opere negli stand.
A differenza di Freize, la fiera di Londra dove in ottobre le consuete file di giovani e londinesi hanno acquistato un biglietto per non comperare, a Miami, che non è certo l’epicentro della cultura mondiale, l’interesse dei potenziali acquirenti appare sostenuto da un fiorire di gallerie private negli ex magazzini di North Miami, mentre un nuovo settore dedicato a un design esclusivo riflette un accumulo di benessere e una posizione di rendita costruiti negli anni. Alla sua invidiabile posizione geografica tra le due Americhe e al clima eternamente vacanziero, Miami aggiunge indubbiamente la funzione di cassaforte di due continenti, oggi diventata attrazione fatale per tutte quelle realtà emergenti di un mondo in grande trasformazione. Tra le new entry, si contano gallerie quali la Casa Riegner di Bogotà, la Chemould di Mumbai, la Sfeir Semler di Beirut, tutte parti del mondo che fino a ieri non avevano una rappresentanza fuori dal loro Paese e che oggi cominciano a vedere qui una sorta di terra franca. Tra le gallerie italiane che tornano a casa mediamente soddisfatte Noero, Continua, Emi Fontana e De Carlo.
Grande risorsa e punto di eccellenza del sistema Miami sono alcune collezioni private, rese accessibili in questi giorni della fiera. Il collezionismo si radica in Florida non a caso all’epoca della rivoluzione cubana con l’esodo di molte famiglie trapiantate in queste zone come ad esempio i de la Cruz che approdarono a Miami in fuga da Cuba nel 1976. Tuttavia ci è voluta la fiera perché i collezionisti quali la famiglia Rubell, il costruttore Marty Marguilies, Ella Fontanals-Cisneros e gli stessi de la Cruz cominciassero a intravedere un proprio ruolo pubblico.
Giovedì scorso è stata inaugurata al magazzino (o meglio museo privato) di Don e Mera Rubell una mostra preparata lungamente di arte afroamericana, intitolata «30 Americans», (citazione di altre mostre del Moma dedicate ad americani in cui non vi era un solo artista di colore), in fortunata coincidenza con la nuova presidenza di Obama. Nella massa critica di energia vitale, la diversità degli approcci e dei punti di osservazione di artisti quali Kerry James Marshall, Rashid Johnson, Kara Walker e un artista locale quale Purvis Young, la mostra porta alla luce un continente sommerso di grande ricchezza culturale tuttora sconosciuto come ai tempi dell’Uomo invisibile di Ralph Ellis. E se la collezione Marguilies nasce da una associazione non profit, quella della famiglia de la Cruz avrà presto una nuova collocazione nella zona del Design di Miami e comprenderà sale intere dedicate ad artisti quali Ana Mendieta, Felix Gonzáles-Torres e Gabriel Orozco.
Tutto fa pensare che le prospettive di una fiera come quella di Miami siano destinate a istituzionalizzarsi, consolidandosi al di là dell’evento stesso rafforzato dalla presenza di fiere satellite, da accordi di lungo termine con la Convention Center, dai nascenti musei e soprattutto da un collezionismo nato da un ceto di esuli che ha conosciuto anche le asprezze della vita, aperti a condividere più che sfoggiare i frutti del proprio ritrovato benessere.

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