
Ammonizione Ue su fiere e brevetti
L’Italia dovrà assolutamente conformarsi alle decisioni della Corte di giustizia europea, in materia di fiere e brevetti, aprendo i cordoni del mercato fieristico e di quello della consulenza brevettuale. In sostanza, liberalizzando totalmente i due settori. Altrimenti, sarà messa in mora dall’Ue. Lo ha chiesto la Commissione europea, sottolineando le numerose restrizioni all’esercizio dell’attività di organizzazione di fiere e le limitazioni senza giustificazione messe in campo dai consulenti in brevetti nell’esercizio di tale attività sui loro territori. Lo stesso avvertimento è stato inoltrato al Lussemburgo. Fiere. L’Italia ha già comunicato a Bruxelles una serie di modifiche legislative emanate dalle varie regioni. Tuttavia, l’analisi dei testi legislativi ricevuti indica la persistenza, a seconda delle regioni interessate, di incompatibilità con la sentenza del 15 gennaio 2002 (n. C-439/99). E in particolare: l’obbligo di autorizzazione imposta senza distinzione a tutti gli operatori; il rispetto di termini eccessivamente restrittivi; l’impossibilità di organizzare fiere al di fuori del calendario ufficiale; la conformità dell’organizzazione delle fiere con gli obiettivi della programmazione regionale; il ruolo delle commissioni consultive composte da operatori locali. Secondo l’Ue, questi elementi influenzano negativamente il diritto degli operatori non italiani a prestare i loro servizi in Italia, limitano le scelte disponibili per gli espositori che desiderano promuovere i loro prodotti o i loro servizi mediante fiere e potenzialmente aumentano i costi di tale promozione e quindi i prezzi finali che i compratori dei prodotti e dei servizi interessati devono pagare. Consulenti in brevetti. In una sentenza del 13/2/2003 (sentenza C-131/01), la Corte di giustizia ha censurato la legislazione italiana che richiede l’obbligo di essere iscritto all’albo italiano e avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per poter prestare tali servizi. Allo stesso modo in una sentenza del 6 marzo 2003 (sentenza C-478/01), la Corte di giustizia ha riconosciuto l’incompatibilità della legislazione lussemburghese con l’articolo 49 del trattato Cee.